Bitcoin è una scelta sostenibile
Il mining di Bitcoin, come tutte le complesse logiche di gestione dell’energia, viene spesso mal interpretato. Eppure, ci può aiutare a favorire la transizione ecologica.
Bitcoin inquina. Una espressione sempre più usata nei titoli dei quotidiani e sempre più espressione della leggerezza nel lavoro di approfondimento o della malafede delle istituzioni. Come spiegato brevemente nel precedente articolo, ovviamente l’esistenza di Bitcoin non comporta un eventuale inquinamento ambientale. In altre parole, Bitcoin non è un prodotto che rilascia agenti inquinanti nell’ambiente.
Visto che un’espressione del genere è priva di qualsiasi senso, la narrativa da parte delle istituzioni che si oppongono all’esistenza di Bitcoin ha dovuto raffinarsi entrando in un perimetro di parzialissima correttezza. Qualcuno, se non altro, sta iniziando ad afferrare che una potenziale complicazione inquinante deriverebbe dal modo in cui Bitcoin viene prodotto, più che da Bitcoin stesso. Ultimamente quindi, oggetto di attacco è il mining di Bitcoin e il suo metodo di consenso e messa in sicurezza, la Proof of Work. Essendo impossibile vietare Bitcoin in quanto protocollo open source, una delle poche opzioni disponibili è quella di vietare l’attività imprenditoriale che ne permette l’estrazione, in quanto inquinante.
Purtroppo, però, anche questa narrativa è evidentemente sbagliata, per quanto provi ad avvicinarsi alla verità. Come per tantissimi prodotti e risorse, i livelli di inquinamento, ammesso che ci siano, non derivano dal prodotto o dalla metodologia tecnica con cui vengono generati, bensì dal modo in cui viene prodotta l’energia utile per alimentare il processo. In breve, media e istituzionali continuano costantemente a confondere il mining con la produzione di energia. Nel caso ci fosse bisogno di specificarlo, il mining non produce energia. Si tratta di una attività che, come tante altre, utilizza l’energia per poter operare.
Quindi dobbiamo piuttosto chiederci quanto sia pulita l’energia che viene usata per le attività di mining. La risposta è che questa energia è percentualmente molto pulita, visto che il mining viene alimentato per il 60% da energie rinnovabili.
Guarda caso, dopo il ban del mining da parte della Cina, molti miner si sono spostati in Texas, che vanta una perfetta combinazione di irraggiamento solare, forti moti ventosi e presenza di gas naturale.
Le politiche ESG
Il consumo di energia sta inevitabilmente alla base di tutto. È il modo che abbiamo di produrre praticamente tutto ciò che ci serve. L’energy mix di Bitcoin (del mining) rende lo stesso uno dei settori più sostenibili del mondo. L’intera economia degli Stati Uniti si basa su un consumo di energia prodotta per il 30% da fonti rinnovabili.
Questo non deve necessariamente implicare che tutti coloro che operano a favore dei movimenti ESG e ambientalisti abbiano interessi egoistici. Molti di loro cercano davvero di migliorare il modo in cui interagiamo con l’ambiente, generalmente con buone intenzioni. Tuttavia, è altrettanto palese che questo movimento viene spesso corrotto da una rumorosa minoranza trasformandolo in un’arma puntata contro aziende e persone.
Uno degli esempi più eclatanti è l’attacco verso Bitcoin da parte di Greenpeace. Un attacco avvennuto attraverso una chiara campagna di disinformazione (ben spiegata in questo articolo) con il supporto, per altro, di realtà come Blackrock, Goldman Sachs e Chris Larsen, fondatore di un progetto che si propone fondamentalmente l’obiettivo di rimpiazzare Bitcoin (XRP).
Il problema del consumo di energia
Se da una parte è vero che i miner si appoggiano direttamente e contestualmente a centrali elettriche (quindi non solo producono Bitcoin, ma anche energia), dall’altra ribadiamo che questa energia viene prodotta per quasi il 60% da fonti green. Consumando il mining molta energia, quel 40% non ha un peso poco rilevante sulle questioni ambientali, ma si tratta di un valore percentuale che è in continuo decremento anno dopo anno a favore della componente green in un processo molto più veloce rispetto a quello che riguarda quasi tutti gli altri attori e settori. In totale, comunque, il mining globale di Bitcoin consuma lo 0,14% dell’energia prodotta su nostro Pianeta con 220 TWh (meno della metà del consumo che comporta l’estrazione dell’oro). Si pensi che la sola energia sprecata a causa di inefficienze tecniche e di processo è pari a 50.000 TWh.
Delle poche centrali che fanno attività di mining utilizzando il carbone, poi, hanno già dichiarato lo smantellamento dei processi a favore dell’impiego di risorse rinnovabili entro il 2023. Ma perché Bitcoin è così energivoro, in termini assoluti?
L’energia è necessaria a far funzionare i processori che, attraverso la loro potenza computazionale, rendono la rete di Bitcoin sicura. Tanto più la potenza computazionale messa a disposizione cresce e tanto maggiore risulta essere la sicurezza del network. I miner, facendo il lavoro (Proof of Work) fondamentale di mettere in sicurezza la rete, vengono ricompensati con i Bitcoin che vengono estratti proprio in conseguenza dell’attività svolta, come previsto dal protocollo. I costi energetici sempre maggiori rendono sempre più improbabile, ad esempio, un attacco al 51% che comporterebbe un rischio significativo per Bitcoin.
Si tratta di un lavoro il cui consumo energetico non può essere considerato poco rilevante in assoluto. Ma non è un consumo inutile. È un consumo (ribadiamolo, sempre meno impattante negativamente sull’ambiente) che mette in sicurezza il primo network di pagamento libero e globale.
Non risulta bizzarro che, con tutti gli sprechi energetici, le istituzioni si accaniscano così tanto sulla produzione di un asset che in termini relativi consuma molto poco e che alimentato soprattutto da energia green? Non risulta strano che questo capiti mentre assistiamo ad evidenti inefficienze del sistema di gestione dell’energia che, tra l’altro, non sembra sempre poi così attento all’ambiente?
Prendendo qualche esempio italiano, a Settembre 2021 Roberto Cingolani (Ministro della transizione ecologica), approva l’avvio di una nuova centrale a gas a Monfalcone, in provincia di Gorizia, a poche centinaia di metri dalle abitazioni. Sempre nel 2021, il ministro approva nuovi lavori di perforazione del pozzo Longanesi 3 Dir per estrarre metano.
Oppure assistiamo a paradossi in cui società come Enel, Edison e A2A, tutte molto legate all’energia fossile, fanno da sponsor a eventi come la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021. Altro sponsor, UniCredit, che ha sempre finanziato l’industria fossile (nel 2020 ha erogato 5 miliardi alle principali aziende attive nell’espansione del petrolio e gas).
La decarbonizzazione è certamente giusta. Ma resta una favola, se non si individuano i responsabili delle emissioni di gas serra. E chi mai saranno questi se non le società energetiche che continuano e continueranno a basare il loro core business sul petrolio?
Se Bitcoin viene demonizzato perché consuma troppo in rapporto alla sua utilità (mi riferisco alle persone che lo ritengono uno strumento inutile) allora perché non demonizzare altre attività non fondamentali per la vita dell’uomo? Bitcoin, se non altro, ha migliorato e in certi casi salvato delle vite. Lo fanno anche le armi (il quinto settore che consuma più energia in assoluto)? I videogiochi? O i viaggi spaziali, forse? È stato stimato che un turista spaziale, per restare in orbita 11 minuti, potrebbe contribuire all’emissione di 75 tonnellate di CO2. Molto più di quanto una singola persona con una vita normale contribuisca nell’arco di tutta la sua esistenza. Eppure, quanti miliardi vengono spesi ogni anno per questi viaggi in orbita? E non si sta facendo riferimento alla ricerca scientifica. Sto parlando di turismo elitario. Solo un esempio di una ristretta elité che potrebbe avere il permesso di inquinare senza limiti. A proposito di questo, uno studio Oxfam rivela che l’1% più ricco della popolazione ha un impatto sull’ambiente 30 volte superiore del livello che andrebbe mantenuto per rendere realistico il target di emissioni che rispetta i limiti degli Accordi di Parigi.
Il problema delle rinnovabili
Ci sono diversi ostacoli che impediscono un passaggio efficace alle energie rinnovabili. In Italia, ad esempio, negli ultimi anni ci sono state tantissime iniziative in questo senso, ma anche molte meno autorizzazioni. Un caso è rappresentato da istanze per 23 GW di impianti eolici dal 2017 e solo 651 MW sono stati approvati. Nel fotovoltaico, la situazione è anche peggiore. Le reali motivazioni che determinano tutti questi rifiuti, a parte quelle paesaggistiche, sono poco note.
Vi è poi il problema delle cosiddette condizioni essenziali. Tra queste troviamo la difficoltà nello sviluppo di una adeguata capacità di stoccaggio, ovvero la capacità di accumulare e conservare l’energia prodotta, ma non subito consumata. Questa attività è necessaria dove una grande parte di energia è prodotta da fonti rinnovabili non programmabili e dove, quindi, gli accumuli servono per bilanciare i continui scostamenti tra domanda e offerta. In altre parole sono energie la cui continuità di flusso non è soggetta a preventiva decisione e programmazione da parte dell’uomo. Sostanzialmente il problema è che la loro produzione di energia risulta essere imprevedibile. Questo fenomeno, quando non ben gestito, porta, ad esempio, ad un surplus energetico che viene sprecato.
Infatti, l’elettricità è una risorsa molto difficile da accumulare. Quando è possibile immagazzinarla, il processo risulta molto costoso. La frammentazione in impianti green di piccola potenza, poi, complica ulteriormente la loro integrazione nella rete elettrica. Per sfruttare davvero l’energia pulita serve quindi sia potenziare la rete sia modificarla concettualmente e rinnovarla tecnologicamente secondo una questa logica smart e integrativa.
Transizione ecologica e efficienza elettrica
Ebbene, il mining può fornire un importante aiuto ai problemi sopra elencati. Il mining di Bitcoin da una parte, infatti, favorisce la transizione ecologica e, dall’altra, può essere uno strumento di efficientamento della rete elettrica.
Minando Bitcoin, si annullerebbe (o verrebbe molto meno) il problema delle rinnovabili non programmabili legato allo spreco del surplus energetico. Nulla cambierebbe dal punto vi vista del surplus. Ma se una fonte di produzione di energia green è, ad esempio, venisse integrata con il mining, il surpuls energetico generato verrebbe monetizzato. Ci sono centrali che già hanno adottato questa logica. In questo senso, il mining diventa un vero e proprio incentivo economico alla transizione ecologica.
Questo è ancora più vero in quei luoghi che abbondano di fonti energetiche rinnovabili e dove, quindi, il rinnovabile costa meno. In questi luoghi, i miner saranno i primi ad essere incentivati ad adottare tecnologie che sappiano sfruttare al meglio le risorse disponibili.
Inoltre, le attività di mining possono essere spostate con una discreta facilità. Così come possono essere temporaneamente sganciate dalla rete elettrica. Questa flessibilità e modularità potrebbe permettere di reindirizzare l’energia, andando a rendere la distribuzione di energia più efficiente e inclusiva. Questo include anche la possibilità di trasformare l’energia rinnovabile in valore trasferibile senza intermediazione in aree che a loro volta possono riutilizzare quel valore per produrre energia.
Citando il Bitcoin Mining Council, queste caratteristiche contribuiscono a rendere il mining, e Bitcoin, la più grande innovazione della storia dell’umanità.
Lo studio di Michael Khazzaka
Recentemente è stato pubblicato un nuovo studio da parte dell’ingegnere informatico specializzato in tecnologie di pagamento, Michael Khazzaka. Lo studio ha lo scopo di stimare l’impatto reale del sistema finanziario sull’ambiente.
La prima parte del paper è incentrato solamente sul contante. Secondo lo studio nel mondo circolando (al momento della pubblicazione del paper) 842 miliardi di banconote e 1507 miliardi di monete. Tra l’altro il 26,04% delle banconote in circolazione devono essere sostituite ogni anno poiché danneggiate. La gestione di questo sistema comporta il dispendio di 908,6 TWh all’anno.
I soli bancomat sparsi per tutto il mondo (4,8 milioni) consumano 47 TWh.
In riferimento alle carte di credito, l’autore analizza il consumo dei datacenter di Visa collegati da un network di comunicazione privato che impiega una lunghezza di cavi che supera la lunghezza della circonferenza terrestre di 400 volte. Il consumo che ne deriva è pari a 17,72 TWh, da cui si estrapola un consumo per singola transazione pari a 11,49 Wh. Invece, la ricezione dei pagamenti, e quindi la tecnologia relativa ai POS, consuma 54 TWh. Il dato complessivo di consumo è quindi pari 71,71 TWh all’anno e le transazioni complessive consumano 46,51 Wh all’anno.
Altre analisi riguardano i consumi delle connessioni interbancarie (21,3 TWh), i data centers bancari (31,6 TWh).
Infine, lo studio si concentra su Bitcoin. Il paper dimostra che Bitcoin come sistema globale di pagamento consuma 56 volte meno del sistema finanziario e monetario attuale. La singola transazione on-chain di Bitcoin risulta essere quindi 1,2 volte più efficiente energeticamente di una transazione in valuta tradizionale. Se a questi dati si aggiunge la scalabilità di Lightining Newtork (layer 2 di Bitcoin), la tecnologia risulta essere 194 milioni di volte più efficiente in termini energetici rispetto ad un pagamento tradizionale ed 1 milione di volte più efficiente di un bonifico istantaneo.