Cultura e popolo senza Stato: il caso dell’Occitania
Può esistere l’idea di popolo o di cultura se questi non sono rappresentati e inglobati in uno Stato?
Nel mondo moderno, lo Stato-Nazione è spesso considerato il principale artefice dell'unità e dell'identità culturale di un popolo. Tuttavia, esistono molteplici esempi che dimostrano come la cultura e l'identità possano prosperare al di là delle frontiere politiche. L'Occitania è uno di questi.
L’Occitania viene definita come una regione geografica linguistica. Una regione viva, ma più debole rispetto al passato, ancora oggi e che si estende dalla Francia meridionale fino a raggiungere alcuni territori dell’Italia settentrionale e anche zone della Catalogna. Viene definita in questo modo perché i membri che la occupano hanno questo in comune, una lingua. Quindi, una cultura. Non è difficile trovare vari riferimenti alla loro lingua, la lingua d’oc, ma non esistono testi ufficiali che considerino coloro che la parlavano fin dal VII secolo, gli occitani, come un popolo degno di essere inserito nella storia europea.
L’occitano si è originato dalla latinizzazione della lingua parlata dai celti (i galli, in questo caso) ed è diventata una delle lingue ufficiali dell’Europa del XI e XII secolo, con il suo massimo vertice nella poesia lirica.
I romani misero in atto, come in altri territori conquistati, un lento processo di romanizzazione della popolazione che poco per volta iniziò ad assorbire i gusti e costumi romani. Con l’invasione dei barbari (le popolazioni germaniche) e la caduta dell’Impero, questa cultura mista prende una nuova vita. È un bellissimo esempio, come riporta Paolo Battistel nel suo Lu Barban, il Diavolo e le Streghe, di un caso di Non-Nazione (questa regione è anche chiamata Nazione Proibita), cioè una precisa area geografica pressoché ignorata dalla storiografia nonostante il popolo che la abita utilizzi una lingua propria forgiata da una cultura complessa e articolata in grado di descrivere un mondo in evoluzione e dare vita alle prime opere importanti della cultura medievale.
Tale regione non è mai diventata tale in termini ufficiali, ragion per cui si è pensato che non meritasse neanche una specifica interpretazione storica e culturale.
Quest’ampio territorio che segnò profondamente la storia dell’Europa ha dovuto subire un inspiegabile ostracismo storico pur giungendo a risultati culturali, linguistici, sociali e religiosi irraggiungibili da altri regni medievali che, per quanto a livello formale avessero una vera unità politica, mancavano però di qualsiasi identità culturale.
A questo si aggiunge la campagna contro questa popolazione, e quella degli albigesi, da parte del potere papale intorno alla metà del 1200. L’idea era quella di estirpare l’eresia catara dalla religione e i poeti occitani furono condannati all’Inquisizione come eretici immorali, colpevoli di recitare l’amor cortese. Ovviamente l’autorità papale e quella regia in questo modo poterono rimettere mani sui potentati occitani che si gestivano in modo autonomo e che avevano dato forma a una civiltà nuova e pulsante, una civiltà che aveva intimorito i centri dell’antico potere della Francia settentrionale e dell’Italia.
L’Occitania ormai indebolita fu assorbita dal potere di Filippo II Augusto nel XIII secolo, cosa che coincise con l’affermazione della lingua d’oil come lingua nazionale francese.
Cultura contro determinismo economico
Ma cosa ha differenziato una nazione o un popolo rispetto ad un altro? Alcuni dei sostenitori e propagandisti del nuovo ideale nazionalista dell'identità umana hanno parlato di una cultura comune o un insieme di tradizioni estese a molte generazioni, le quali hanno plasmato il carattere dell'individuo definendo chi fosse e a chi fosse connesso.
Ho voluto usare l’esempio dell’Occitania per riflettere sulla reale entità che pretese, in tempi più moderni, di unificare popolazioni in Stati-Nazione fino ad arrivare a oggi, quando persino gli Stati-Nazione devono essere tanto uniti da creare ammassi informi che si illuminano sotto la lampada della retorica globalista. Una di queste entità è senz’altro il determinismo economico, un concetto tanto caro a Marx. Predicava che il socialismo è storicamente inevitabile a causa dell'inevitabile trasformazione del modo di produzione. Sosteneva che il modo di produzione rappresenti la sottostruttura della società e la cultura in generale, la sovrastruttura. Sosteneva che le persone possedessero una particolare visione delle leggi della società, dell'etica e della politica a causa del loro impegno verso un particolare modo di produzione. Esattamente quello che gli stessi burocrati e socialisti hanno in mente quando argomentano l’ingiustizia del capitalismo.
Ci sono chiaramente modelli sociali maturati su filosofie diverse, come l’individualismo. Un esempio è la nascita della società americana. Nell'ambito del sistema americano tradizionale, quasi ogni area della vita umana era vista come una questione privata della persona che aveva il diritto inalienabile di guidare e progettare la propria vita secondo i propri valori, credenze e scopi. Presero forma, e cambiarono nel tempo, le relazioni interpersonali nella società sulla base di associazioni e scambi volontari reciprocamente vantaggiosi. Adesso però il modello americano diventa sempre più simile a quello europeo, la cui storia (moderna) si fonda su una filosofia del collettivismo: l'idea che il gruppo venga prima dell'individuo, che la sua identità, scopi e significato siano legati ad una particolare tribù in cui è nato.
Identità culturale
Alcuni parlano di lingua o di razza etnia come collante di un popolo, utilizzando spesso il termine uno per specificare l'appartenenza. Si diceva che la struttura del linguaggio e il significato delle parole plasmasse il pensiero e il ragionamento di un gruppo di persone, dunque tutti coloro che parlavano la stessa lingua erano in qualche modo connessi l'un l'altro. Secondo altri invece, si tratta della connessione tra quelli provenienti dallo stesso ceppo genetico; l'identità collettiva e il senso di unità tra un gruppo di persone era da ritrovarsi nel sangue.
Centinaia di anni di guerre, conquiste e migrazioni avevano creato sovrapposizioni delle popolazioni nazionali. Era quasi impossibile tracciare bene e ordinatamente le linee politiche sulle mappe in modo che solo quelli di un determinato gruppo nazionale vivessero entro i propri confini. Ogni stato-nazione conteneva inevitabilmente una o più minoranze appartenenti ad altri gruppi linguistici, culturali o etnici. Alcune persone potevano ritenere fastidioso o scomodo che alcuni dei loro vicini parlassero una lingua diversa, praticassero una religione diversa o avessero diverse tradizioni culturali. Ma se i loro sistemi politici si fossero basati su quei principi individualisti allora non ci sarebbero stati favori politici elargiti a beneficio della maggioranza e a scapito dei membri di qualsiasi gruppo in minoranza.
Nazionalismo
L'autodeterminazione è definita in termini collettivi. Non è diritto dell'individuo decidere in quale stato-nazione, o altra entità politica, potrà vivere. No, questa è una questione riservata al gruppo linguistico e culturale nel suo complesso, a cui egli identifica la sua appartenenza.
Il presupposto implicito è che tutte quelle persone che condividono una lingua o una cultura o una religione comune, hanno stessi interessi e desideri. Ciò include una preferenza nel voler appartenere allo stesso stato-nazione, custode e guardiano dell'identità nazionale di un gruppo contro quella di altri gruppi nazionali che si presume siano una minaccia per la collettività. Questa è la grande differenza tra unioni culturali come l’Occitania e Stati-Nazione come, ad esempio, l’Italia di oggi.
Ordine spontaneo
L'ordine spontaneo è fuori dal controllo, o anche dalla comprensione di chiunque o di qualsiasi gruppo di persone. Con l'ordine spontaneo non c'è minaccia di coercizione, emerge naturalmente un'armonia di interessi. Soddisfiamo i nostri interessi separati cooperando con gli altri. La cooperazione armonizza gli interessi di produttori, fornitori, commercianti e clienti. Ed è proprio qui che la cultura fiorisce.
Tutti ben identificati nei nostri Stati-Nazione, eppure è come se fossimo separati da tutti e da tutto. Dopo tutto senza individualismo non discipliniamo la nostra mente e così gli altri appariranno come oggetti da valutare in quanto aiutanti, ostacolanti o irrilevanti. Intrappolati in una tale mentalità, perdiamo di vista l'umanità degli altri. Riconoscendo che possediamo una parte del divino, Locke articolò le leggi della natura che rappresentano una regola eterna per tutti gli uomini, per i legislatori così come per tutti gli altri. Nel suo Secondo Trattato Locke vedeva il principio dell'auto-proprietà come una legge di natura: L'uomo è signore assoluto della propria persona e dei propri beni, uguale al più grande e soggetto a nessuno.
Nel suo Diritti dell'uomo Thomas Paine considerava i diritti naturali di Locke come base per l'unità:
Tutti i resoconti della creazione dell'uomo concordano nello stabilire un punto, l'unità dell'uomo; con ciò intendo dire che gli uomini sono tutti di un grado e di conseguenza che tutti gli uomini nascono uguali, e con eguale diritto naturale [...] e di conseguenza ogni bambino nato nel mondo deve essere considerato come derivante da Dio. Il mondo è nuovo per lui come lo era per il primo uomo che sia esistito, e il suo diritto naturale su di esso è dello stesso tipo.
Con e senza Stato
Il fatto che l'Occitania non sia mai stata uno Stato-Nazione indipendente (o dipendente, a seconda di come la vogliamo vedere) non ha mai impedito la formazione e il mantenimento di una forte identità culturale. Questo esempio illustra come la cultura e l'identità possano superare le frontiere politiche e dimostra che la diversità culturale è un importante patrimonio condiviso anche in assenza di uno Stato unitario e ovviamente senza che lo Stato unitario la imponga.
Il fenomeno dell'Occitania mette in discussione l'idea che uno Stato-Nazione sia la condizione necessaria per l'unità di un popolo. Al contrario, dimostra che la cultura può fiorire quando le persone condividono una lingua, una storia e valori condivisi, indipendentemente dalla loro identificazione politica. Questo suggerisce che la costruzione di Stati-Nazione non è il mezzo migliore per promuovere l'unità culturale e che potrebbe addirittura impedire il libero sviluppo di reali identità condivise.
Un approccio più libero alla formazione delle identità culturali potrebbe enfatizzare la diversità, l'autodeterminazione e l'autoorganizzazione delle comunità. In questo contesto, le persone potrebbero abbracciare la loro cultura e la loro storia senza dover essere vincolate da frontiere politiche o da una gerarchia statale. L'unità culturale potrebbe essere vista come una spontanea manifestazione dell'identità umana, non come un prodotto di politiche centralizzate.
L'Occitania ci offre una preziosa lezione: la cultura è intrinsecamente legata all'identità umana, un’identità tale da costituire una bandiera, e questa unità culturale può prosperare in assenza di uno Stato-Nazione che cerca di imporre l'omogeneità, pur millantando una retorica opposta. L'identità culturale dovrebbe essere celebrata, preservata e promossa attraverso il rispetto della diversità e la valorizzazione dell'autodeterminazione delle comunità. È infatti stata la decentralizzazione del potere politico ed economico tipica del periodo del Medioevo che ha consentito alle comunità di definire e proteggere le proprie identità culturali e tradizioni senza l'ingerenza di signori o di altre autorità centrali. Fino ad un certo momento, almeno.
L'Occitania del Medioevo è emersa come una delle massime espressioni culturali del periodo e non solo, grazie a una combinazione di decentralizzazione politica, scambio culturale, libertà di espressione artistica e la conservazione della propria lingua. Questi elementi sono in sintonia con i principi di decentralizzazione, libertà individuale e autonomia locale come catalizzatori per l'arte e per la cultura.
Al contrario, lo Stato spesso cerca di forzare un'unità culturale su territori che possono avere radici culturali diverse e differenze regionali significative. Questa imposizione dell'unità culturale porta alla perdita di identità e tradizioni locali. Il caso dell'Italia fornisce un esempio eloquente di come la creazione di uno Stato-Nazione possa minare la diversità culturale e imprimendo forzatamente un'identità nazionale. Prima dell'unificazione, l'Italia era una collezione di stati e territori con culture e lingue regionali. Tuttavia, con l'ascesa del movimento per l'unificazione nazionale, il governo italiano ha cercato di omogeneizzare il paese attraverso la promozione della lingua italiana standard, basata sul dialetto toscano. Questo è stato un tentativo di creare un'unità linguistica nazionale, ma ha comportato la soppressione delle lingue e dei dialetti locali. Da una parte abbiamo quindi un’unità che dà e, dall’altra, un’unità che toglie.
Inoltre, l'unità nazionale è stata promossa attraverso la standardizzazione dell'istruzione. Le scuole italiane insegnavano principalmente in italiano standard, e i dialetti locali venivano spesso scoraggiati o soppressi. Questo ha contribuito a creare una generazione di italiani che non erano fluenti nei dialetti dei loro genitori o nonni. L'imposizione dell'unità culturale da parte dello Stato-Nazione può anche manifestarsi nella promozione di una storia e di una cultura nazionale comune a scapito delle storie e delle culture regionali. Da qui deriva la nostra incapacità di ricordare e raccontare storie, fiabe e leggende, indissolubilmente legate ai focolari locali. Questo porta alla riduzione della ricchezza delle tradizioni e alla creazione di un'identità omogenea che non tiene conto delle reali diversità culturali.