[Racconto] - Rumore
Vuoi partecipare al Programma di Sviluppo del Collettivo? Solo chi mostra il proprio valore per la società ha diritto alla solitudine e al silenzio.
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2 Gennaio – Due anni e tre mesi rinchiuso in questo appartamento, senza poter parlare con nessuno. Ancora tre mesi e sarò finalmente libero. L’eccitazione per questa attesa finale non mi fa dormire. O forse ho iniziato a soffrire di insonnia perché dopo tutto questo tempo sto iniziando a impazzire. Krisha, l’assistente virtuale che mi è stata affidata, mi ha consigliato di tenere un diario per aiutarmi a mantenere la calma e ingannare il tempo. Di solito per rilassarmi le chiedo di proiettare l’ambiente di una foresta o una spiaggia, per fare una passeggiata in mezzo a quella che mi convinco essere la natura. Ma è già da un po’ che non mi va più di farlo. Sapere di essere solamente immerso in una proiezione e il non sentire il rumore degli alberi, le carezze del vento e neanche il profumo del mare mi fa sentire ancora peggio. Non che io conosca il profumo del mare, intendiamoci. Tuttavia preferisco rimanere reale, diciamo, nello squallore di questo appartamento.
L’appartamento non è in sé squallido, anzi. Quando ho deciso di candidarmi per il Programma di Sviluppo pensavo mi avrebbero imprigionato in una stanza con appena una un angolo cucina, bagno, una brandina per dormire e una scrivania per lavorare. Un poeta non ha bisogno di altro per eseguire bene il proprio lavoro. E invece eccomi qua, in un appartamento lussuoso, una doccia con sauna, un letto matrimoniale dal materasso alto e morbido e una cucina spaziosa. Le pareti dello studio in cui di solito lavoro sono adornate con librerie che toccano il soffitto. E se non trovo un libro che desidero leggere, un argomento che mi piacerebbe approfondire, posso chiederlo. A quel punto il Collettivo mi invia quanto ho richiesto tramite l’elevatore situato all’ingresso, insieme alle lenzuola pulite e i beni di prima necessità. A parte le zuppe disidratate, che è praticamente l’unico tipo di alimento disponibile, la permanenza qui non è così denigrante.
Diciamo che attribuisco lo squallore a questa orrenda solitudine e alla sensazione di star gettando in aria preziosi anni della mia vita. Ma se le cose andranno come devono andare, tra tre mesi da quell’elevatore uscirà la lettera che sancisce il completamento del contratto, insieme al mio permesso formale per uscire da Albion, e la mia vita cambierà radicalmente anche rispetto a quella che facevo prima di entrare qui dentro.
Odio guardare la televisione, ma ogni tanto per combattere la noia guardo quel programma che racconta la vita di persone che sono andati a vivere fuori dai Centri di Produzione come Albion, dopo aver completato con successo il Programma. Nelle regioni esterne queste persone diventano delle specie di celebrità. L’altro giorno parlavano proprio di un tizio di Albion, Andres Goméz, o qualcosa del genere. Quando viveva ad Albion Andres era già un ingegnere meccanico specializzato in veicoli elettrici autonomi. Pare che a un certo punto si sia iscritto al Programma di Sviluppo candidando una serie di idee per integrare molto meglio la tecnologia delle automobili con le infrastrutture delle città intelligenti. Oggi Andres non solo è pieno di soldi, ma è libero di andare dove vuole e fare ciò che vuole. Fa un lavoro che ama ed è diventato una delle personalità nel suo ambito più apprezzate e ascoltate. Non capisco molto di queste cose, a essere sincero. Molti di quelli che vengono accettati per il programma sono ingegneri e propongono idee tecnologiche innovative. Anche Isabella.
La vita non sembra così diversa là fuori, ma le persone hanno più spazio per muoversi, soprattutto all’aperto. E poi non c’è il Rumore. Non sempre, almeno. Non c’è neanche qui, in questo silenziosissimo appartamento. Niente Rumore. È una delle poche ragioni per cui lo apprezzo. Quella e anche la speranza di poter avere un destino simile a quello di Andres. Insieme a Isabella.
3 Gennaio – Scrivere mi fa bene. Non dovrebbe sorprendermi. È che non ero abituato a buttare giù i miei pensieri in questo modo. Sono bravo a scrivere poesie, io. È questo che mi ha permesso di vincere un biglietto per la libertà. Quando accadde ero piuttosto sorpreso. Dicono che vale sempre la pena candidarsi per il Programma di Sviluppo se hai un talento, ma ho sempre pensato che ci si riferisse alle abilità tecniche, come quelle di Isabella. È stata lei a convincermi a presentare la domanda. Nella nostra società chi trova il calore nell’arte, nella poesia e chi naviga nei mari sconfinati della mente nel migliore dei casi è visto come uno strambo. Il Collettivo ha bisogno di migliorare concretamente la società e non sprecherà certo uno dei sette appartamenti riservati al Programma per un poeta, pensavo. E invece mi sbagliavo, e ora ho l’onore di essere qui.
In tutto questo tempo ho completato undici raccolte di poesie. Sto lavorando alla dodicesima. Spero che il Collettivo le abbia gradite. Se il mio lavoro sarà giudicato insufficiente avrò comunque a disposizione un decimo del premio in denaro. Ma rimarrò qui, ad Albion. Tornerò nel Rumore. Lo odiavo talmente tanto che la fuga dal Rumore è stato l’elemento finale che mi ha convinto a firmare il contratto. Magari fallirò, pensavo, ma almeno potrò sperimentare il silenzio per più di due anni. Certo, sapevo che questo avrebbe avuto un prezzo: la solitudine estrema, fatta eccezione per Krisha ovviamente.
Anche se è una presenza incorporea in questo appartamento, una volta ci ho provato con lei. Ovviamente non è programmata per questo e la scena sarebbe stata comica se non avessi provato disgusto per me stesso. Alle fine mi ero messo a piangere mentre gridavo il nome di Isabella.
È tutto alquanto schifoso, in questa vita. Essere costantemente immerso in un rumore assordante che non ti permette neanche di pensare oppure il privilegio di vivere isolato dal mondo. Possibile che alla maggior parte delle persone sia preclusa una terza scelta?
6 Gennaio – In questi giorni mi sento ancora più solo. Ieri ho urlato così forte e ho tirato così tanti pugni contro il muro che credevo che il Collettivo sarebbe venuto a tirarmi fuori in anticipo. Una parte di me lo desiderava e una parte no. Mollare proprio adesso non ha senso.
Non sarebbero mai venuti, comunque. Le regole sono chiare: puoi uscire dall’appartamento in ogni momento, ma deve essere una tua scelta consapevole e dichiarata. Basta premere il pulsante rosso sulla porta d’ingresso blindata. Una volta premuto, la porta si apre e tu sei libero di andare e riprendere normalmente la tua vita. Ma niente premio, ovviamente. E soprattutto niente vita al di fuori di Albion, al di fuori del Rumore.
Il Rumore era sempre udibile, ovunque. Era sempre pronto a violentare la dimensione interiore di qualsiasi uomo. Ma non tutti gli uomini se ne accorgevano. Solo durante alcuni turni di lavoro mi lasciava in pace. Oppure di notte, quando ero coricato sul letto, lo sentivo più lontano. Ma c’era.
L’ho sempre odiato e sento che, in qualche modo, abbia rovinato la mia intera esistenza. Mi rendo conto che da quando sono qui ci ho pensato spesso, al Rumore, ma non ho mai riflettuto abbastanza su come abbia avuto un impatto sulla mia vita. Da quando sono rinchiuso qui dentro ho scritto poesie sull’amore, su Isabella, sulla natura, sull’odio e sulla morte. Ma mai sul Rumore. Le persone che vivono fuori da Albion devono sapere. Devono sapere come si vive in un Centro di Produzione. So come continuare la dodicesima raccolta di poesie.
16 Gennaio – Ho scritto diverse poesie. Sono quasi tutte su Isabella. Avevo bisogno di dedicarmi a qualcosa che mi facesse stare bene. Non riesco mai a rimanere concentrato sui miei obiettivi.
L’ispirazione per una delle poesie mi è venuta semplicemente immaginando di guardarla mentre toccava l’acqua. L’acqua del mare. Lei non l’ha mai fatto, in realtà, e neanche io. Non c’è il mare qui ad Albion, ma solo corridoi infiniti tappezzati di negozi, appartamenti bui e uffici. Tanti uffici. Qui ad Albion si lavora, si lavora tanto. Esistiamo per questo. Se uscissimo, saremmo meno produttivi e il Collettivo ne risentirebbe.
C’è stato un momento in cui mi sono davvero incantato nel guardare Isabella che sfiorava dell’acqua con un dito. È successo alla fontana della Piazza. Erano giorni che non ci vedevamo e io iniziavo a preoccuparmi.
Avevamo appena finito di lavorare, quella sera. Ero passato davanti alla sua azienda, la RGE Tech, nel corridoio esterno al sesto piano di Albion, e ho aspettato che uscisse. Lei aveva voglia di cinese, quindi siamo andati nel migliore della città, il DragonWok Fusion, corridoio Y37, tredicesimo piano di Albion. Adesso che ci penso, è proprio quella sera che lei ha iniziato a parlarmi del Programma di Sviluppo. Ma nei ristoranti il Rumore è peggiore che in qualsiasi altro posto della città. Quindi avevo capito poco o niente di quello che aveva detto. Dopo che ci siamo fatti una passeggiata siamo arrivati alla Piazza, e lì Isabella me ne ha parlato ancora. Mi sono seduto sul bordo della fontana insieme a lei, ho accostato il mio orecchio alla sua bocca e ho ascoltato i suoi sogni. È stato il più bel giorno della mia vita. Non capita spesso di poter ascoltare qualcuno che con trasporto ti racconta dei suoi sogni, neanche qualcuno che conosci così bene.
Mi stavo persino dimenticando di un momento così importante. Il Rumore fa dimenticare tutto agli uomini, li getta in un grande calderone di indolenza e li cuoce insieme al suo caos.
Ma io ricordo, ora. Tutto questo silenzio è stato quasi terapeutico.
Ricordo Isabella che nonostante l’eco chiassoso della Piazza, sorrideva entusiasta dopo avermi comunicato che nelle ultime serate passate in casa dopo il lavoro aveva trovato un nuovo metodo per studiare la dispersione dei flussi turbolenti. Altra roba scientifica.
Se il Collettivo gli avesse assicurato una squadra di supporto a distanza che operasse dalle regioni libere, lei avrebbe inviato la candidatura per il Programma. In quel momento il mio entusiasmo per lei era di colpo svanito. Ero certo che il responso da parte del Collettivo sarebbe stato positivo su tutti i fronti, ed ero certo che Isabella avrebbe avuto successo nella sua impresa. Mi chiedevo quindi che cosa ne sarebbe stato di noi. Non riuscivo a immaginare di stare lontano da lei per più di due anni. In quel momento, in realtà, ho realizzato che non sarei riuscito a stare lontano da lei neanche un giorno. Così ho ricordato la clausola familiare del Programma di Sviluppo. Se completi con successo il Programma, puoi andare a vivere nelle regioni libere e portare la tua famiglia con te. Mi sono odiato in quell’istante, per non aver mai comprato un anello di fidanzamento da donarle una volta che fosse arrivato il momento giusto. Quello era il momento giusto.
Ma lei aveva pensato a una soluzione diversa. Mi disse di condividere questo viaggio. Separati, ma insieme. Anche io avrei dovuto mandare la candidatura, secondo lei. Sorrisi. Quale progetto avrei mai potuto presentare al Collettivo? Metodi di insegnamento innovativi per bambini? Che poi io non insegno un bel nulla ai bambini nelle scuole; seguo semplicemente le direttive e i programmi generati dalle intelligenze artificiali.
“Ma tu non sei solo un insegnante, sei anche un poeta. Il migliore del mondo” disse, con la semplicità e la dolce timidezza di una bambina che si vergogna nel fare un complimento a qualcuno.
Fu in quel momento che si sporse all’indietro con la parte alta della schiena, con le mani dietro di lei che si reggevano sul bordo interno della fontana. Voltò appena lo sguardo in basso, dietro di lei, verso l’acqua limpida e sorrise. Poi, con la delicatezza di una fata, sollevò una mano dal bordo e accarezzò l’acqua con le dita.
Sembrava di sognare insieme a lei. Ma il rumore dell’inciviltà ancora impregnava le pareti della Piazza. Cercai di non darci peso, e la baciai.
Decidemmo di candidarci insieme, lei con la sua proposta, io con una raccolta di poesie che avevo scritto negli anni precedenti e la promessa di scriverne un’altra decina durante i due anni e mezzo del Programma. Avremmo patito la separazione, ma ci saremmo ricongiunti più felici di prima.
Quel giorno, alla fontana della Piazza, io avevo capito che lei sarebbe stata l’unica donna, quella della mia vita. E così, anche se avremmo partecipato entrambi al Programma, le chiesi subito di sposarmi e due settimane più tardi avevamo una fede al dito. Non aveva senso aspettare oltre.
Il matrimonio mantiene comunque la sua utilità pratica. Tra pochi mesi il Programma finirà e non è detto che avremo entrambi successo nell’impresa. Il matrimonio, per me e Isabella, aumenta le probabilità di ottenere la libertà; è sufficiente che solo uno dei due abbia successo nel proprio progetto. Se lei dovesse superare la prova e io no, non mi abbandonerà di certo. Non di nuovo, non ora che siamo sposati.
Questa è una prospettiva decisamente meno romantica del matrimonio. Ma quando le nostre azioni più tangibili sono guidate dall’anima allora anche i desideri più profondi si incastrano alla perfezione nel piano materiale.
27 Gennaio – La nuova raccolta di poesie procede. Ma non è bella come le altre. Mi sembra di aver perso il talento, o la passione. La mancanza di sonno non aiuta. Sono sempre steso sul letto, ma non dormo quasi mai.
4 Febbraio – Oggi l’elevatore ha suonato. Un fatto così semplice ha cambiato il mio stato d’animo durante tutti i giorni successivi…
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