Un ritratto di John Maynard Keynes
Keynes è il padre non solo della macroeconomia, ma anche di tutti i mali economici moderni.
Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.
Così parlava John Maynard Keynes, nel 1933, mentre si adoperava per portare il proprio contributo allo sviluppo globale dell’economia socialista. Novant’anni dopo noi esistiamo, e siamo osservatori del suo successo accademico. Perché il suo pensiero economico viene apprezzato ed in certi casi venerato dall’establishment di oggi forse ancor più di allora. Perché sentiamo parlare di macroeconomia e, ahimè, la studiamo all’università. Una disciplina la cui premessa di base è che il consumatore debba fidarsi alle capacità dei politici e burocrati per quanto riguarda l'approvazione di leggi e che questi siano in grado di amministrare in modo equo, coerente e sicuro, in modo che il principio di allocazione del libero mercato non possa diventare il principio alla base della distribuzione economica.
L’accademia
Quasi tutta l’economia accademica che studiamo, che purtroppo in molti casi diventa economia applicata, ha in qualche modo origine con il pensiero di Keynes.
Chi ha studiato in una normale facoltà di economia e decide di valutare la propria esperienza in modo onesto, potrebbe ricordare quella vaga voce interiore suggerente che l'economia nel mondo accademico non sembra basarsi su un tipo di logica che la persona media possa seguire. Infatti, il saggio di Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, cui si deve la nascita dell’economia moderna, risulta essere oltremodo incoerente per non dire incomprensibile. Eppure, altri accademici e istituzioni lo hanno amato alla follia. Le categorie economiche si basano tutte sull’idea che la spesa pubblica possa dare una spinta all’economia, ma non sono in grado di spiegare come il governo possa mettere le proprie mani sui soldi necessari a stimolare l’economia, via spesa pubblica, senza allo stesso tempo ridurre le spese del settore privato.
I keynesiani non introducono gli studenti a materiale di studio più coerente o magari anti-keynesiano. Nelle aule universitarie gli studenti potrebbero sorbirsi un riferimento rapido a Marx, ma nessuno fa mai studiare loro la teoria del plusvalore e la relativa confutazione di Bohm-Bawerk, che spiega come Marx osservò l'economia reale e vi vide solo prezzi e non valori, sostanzialmente partendo dall'astratto verso il concreto, con un metodo sbagliato che produsse un risultato sbagliato. Che è un po’ la stessa ragione per cui negli istituti superiori, nelle ore di filosofia, non vengono menzionate menti come quelle di Ayn Rand, per fare un esempio. Non si sente parlare di Milton Friedman. Ovviamente non si sente parlare di Hayek e tanto di meno di altri esponenti meno democratici della Scuola Austriaca, la corrente di pensiero economico che si trova agli antipodi rispetto alle teorie keynesiane.
I keynesiani usano la matematica per selezionare i candidati. La matematica di per sé non è applicabile alla teoria economica, poiché l'ipotesi alla base della sua presunta applicabilità è un equilibrio di mercato: onniscienza umana. Solo gli Austriaci sostengono che la matematica è di per sé in contrasto con l'economia, scriveva l’economista americano Gary North.
Il percorso di Keynes
Non ho intenzione di dilungarmi scrivendo della vita di Keynes, la cui biografia può essere letta su Wikipedia. Ma da lì, riporto qualche passaggio significativo che ne delinea il profilo.
Frequenta l'elitaria scuola di Eton, studiando matematica. Il suo interesse per la politica lo conduce ad approfondire il campo dell'economia (non l’ha mai davvero studiata) sotto la guida di Alfred Marshall. Paradossalmente (scrivono gli autori di Wikipedia), consegue la votazione peggiore nella sezione dell'esame dedicata all'economia; commenterà in seguito questo risultato affermando che gli esaminatori presumibilmente ne sapevano meno di me. Accetta poi un posto di lettore, finanziato personalmente in parte da Alfred Marshall e in parte da suo padre John Neville Keynes. Da tale posizione comincia a costruire la propria reputazione di economista.
La crisi degli anni ’20 spinse Keynes a proporre la svalutazione della moneta per favorire l'aumento dei posti di lavoro, grazie alla migliore competitività dei prodotti britannici. Sostenne un aumento della spesa per lavori pubblici. Fu contrario al ritorno al gold standard, la base aurea della moneta. Ciononostante, il Cancelliere dello Scacchiere, Winston Churchill, nel 1925 decise di ripristinare il gold standard. E questo, secondo i keynesiani, causò la grande depressione degli anni ’30 (ci torniamo dopo).
Fervido sostenitore delle teorie eugenetiche, figlio di una ricchissima famiglia, bisessuale con svariate relazioni, assiduo frequentatore di bordelli in giro per il mondo, ed anche celebre per le sue frasi My only regret in life is that I did not drink more champagne e In the long run we are all dead.
L’intervento dello Stato e mercato
In contrasto con la teoria economica neoclassica, Keynes ha sostenuto la necessità dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di bilancio e monetaria.
Pone le basi per la teoria basata sul concetto di domanda aggregata, spiegando le variazioni del livello complessivo delle attività economiche così come osservate durante la Grande depressione. Il reddito nazionale sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti; in uno stato dunque di sotto-occupazione, sarebbe dunque possibile incrementare l'occupazione e il reddito soltanto passando tramite un aumento della spesa per consumi o con investimenti. L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe, inoltre, determinato dal reddito nazionale.
Poiché Keynes non ha fiducia nella capacità del mercato di esprimere una domanda di piena occupazione, ritiene necessario che in talune circostanze sia lo Stato a stimolare la domanda, se necessario persino facendo scavare a degli operai dei buchi nel terreno, per poi ricoprirli di nuovo.
In linea con il suo pensiero, durante la seconda guerra mondiale Keynes sostiene con Come pagare la guerra: un piano radicale per il Cancelliere dello Scacchiere, che lo sforzo bellico dovrebbe essere finanziato con un maggiore livello di imposizione fiscale, piuttosto che con un bilancio negativo, per evitare spinte inflazioniste.
Keynes non ha mai capito il funzionamento del denaro e, per estensione, lo stesso si può dire sulla maggior parte degli accademici e dei politici. Prima di Keynes, gli economisti comprendevano come l'economia reale consistesse nella creazione di prodotti e servizi. Il denaro era il simbolo dell'economia. Il denaro misura la ricchezza; non è la ricchezza stessa. Si tratta di un credito nei confronti di prodotti e servizi che le persone hanno creato. Ecco perché la contraffazione è illegale; è un furto. Ma quando è lo stato che la pratica, lo chiama quantitative easing, o stimolo monetario.
Il denaro riflette quello che facciamo nel mercato. Ma invece di riconoscere tale verità di base, Keynes disse l'esatto contrario. Secondo il suo modo di pensare, il denaro controllava l'economia. Nel suo quadro teorico, i cosiddetti cicli economici erano fenomeni da studiare fino a quando non si sarebbe trovato il modo di eliminarli. I classicisti pensavano che si sarebbe dovuta implementare più concorrenza perfetta tra le imprese, una regolamentazione statale minima, livelli prudenti di spesa pubblica, un gold standard e tasse basse, insieme ad una lotta contro le pratiche bancarie scorrette. Il culto di Keynes pensava che il libero mercato fosse intrinsecamente instabile, i capitalisti erano i loro peggiori nemici e i funzionari statali saggi, come Keynes, erano necessari per salvare gli uomini d'affari da loro stessi.
Produzione e Risparmio
È evidente che quello che è considerato forse tra i più grandi economisti della storia e da cui abbiamo preso ispirazione fosse convinto che la creazione di valore non ha alcun senso nell’economia. Come si evince anche dal tipo di vita da lui condotto, lui stesso non ha mai amato una visione a lungo termine.
Al contrario, ci sono leggi, come quella di Say, che sosteneva che in regime di libero scambio non sono possibili crisi prolungate, poiché l'offerta crea la domanda. Se in un dato momento si ha un eccesso di offerta, i prezzi tenderanno a scendere. La discesa dei prezzi renderà conveniente nuova domanda. È in tal senso che l'offerta è sempre in grado di creare la propria domanda. In caso di crisi da sovrapproduzione il rimedio delle crisi non doveva perciò, secondo Say, ricercarsi in un intervento dello Stato ma in una capacità autoregolatoria del mercato che permette di raggiungere l’equilibrio economico.
Il benessere distribuito dallo stato non cambia questa legge, perché lo stato deve tassare la produzione di qualcun altro o abbassare le proprie entrate per coprire la distribuzione del welfare. Il ruolo del denaro è facilitare lo scambio della produzione. I tentativi di manipolare la quantità di denaro non cambiano questa verità, oltre ad essere economicamente distruttivi.
John Maynard Keynes non capì neanche l'importanza del risparmio, concentrandosi unicamente sull’importanza del consumo. Non è un caso se negli ultimi 60 anni si è sviluppato il fenomeno del consumismo, erroneamente e spregiudicatamente collegato al capitalismo, che invece crede nell’importanza dell’accumulo di capitale. Considerò che un aumento dei risparmi porta ad una diminuzione della domanda aggregata, riducendo la produzione lorda e quindi i fondi disponibili per il risparmio (paradosso del risparmio). Questa conclusione trascura l'equilibrio sempre raggiunto nei mercati liberi.
L'altro lato del risparmio è l'investimento nella produzione stessa. Poiché il PIL cattura esclusivamente i prodotti a prezzi finali, sottostima il contributo di questo investimento di capitale che finanzia più processi produttivi per produrre il capitale finale. Di conseguenza gli economisti sbagliano nel considerare i soldi impiegati nella produzione come potenzialmente sottratti alla crescita del PIL.
Keynes trascorse gran parte degli anni ‘30 lavorando su una proposta che richiedeva la negazione della Legge di Say, culminando con la sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. Non ci riuscì mai e dovette ricorrere a danneggiare la Legge di Say come un principio di economia classica e quindi obsoleta. La verità è che Keynes voleva semplicemente creare un ambiente favorevole ad uno sviluppo senza precedenti dell’istituzione statale.
Così si giunge alla domanda generata dagli stati, finanziata dall'inflazione e quindi dall’impoverimento della popolazione, trasferisce la domanda dai singoli consumatori allo stato. La domanda viene quindi impostata dai capricci dei politici che quindi minano direttamente il progresso della società.
Gli inganni del keynesismo
Come anticipato, i keynesiani furono in grado di presentare la Grande Depressione come confutazione contro il modello economico del libero mercato e del capitalismo, nonostante questa fosse stata causata proprio dai primi grandi interventismi che iniziarono a fiorire dai primi anni del 1900.
Keynes non vedeva l’ora di vedere il gold standard sprofondare negli abissi. Eppure, la crisi del ’29 fu proprio causata da un primo abbandono del gold standard ad inizio del secolo. Un intervento necessario per il finanziamento della Prima Guerra Mondiale. Il tutto fu poi aggravato da ulteriori politiche interventiste sull’economia per mano di Roosvelt che portarono a nazionalismi e barriere commerciali. I keynesiani ero felicissimi. La spesa pubblica stava aumentando, quindi anche la spesa militare (cosa che favorì lo scoppio della successiva guerra mondiale) e l’occupazione salì, causando però morte, distruzione e razionamenti dei beni di prima necessità. Il gold standard, che in realtà gold standard non era più, fu di nuovo abbandonato nel 1933 (anno in cui Roosvelt dichiarò anche illegale il possesso di oro con l’ordine esecutivo 6102), ma la Grande Depressione persistette (dopo che fu abbandonata la terribile moneta aurea) per almeno altri 13 anni. Keynes non è mai riuscito a capire che la fine dell'era liberale classica nel 1914 causò la fine di un vero gold standard (in cinque anni la massa monetaria aumentò del 115%) che permise alle istituzioni del governo di agire più liberamente nei confronti del denaro. Non è un caso che la Federal Reserve sia nata il 23 Dicembre del 1913. Improvvisamente, l’economia ha avuto bisogno delle banche centrali per prosperare.
Senza le banche centrali che potessero iniziare ad inflazionare la valuta per finanziarie la Prima Guerra Mondiale, spesa pubblica e welfare, la crisi degli anni ’20 non ci sarebbe mai stata. E neanche la Grande Depressione degli ’30. Infatti, tra il 1921 e il 1929 la massa monetaria aumentò di un ulteriore 68%. Che cosa c’entra tutto ciò con il gold standard? Nulla. Quindi attribuire la colpa della Grande Depressione al gold standard è ridicolo. Dopo tutto, un gold standard funziona molto meglio senza una banca centrale, perché queste istituzioni, essendo creature della politica, tendono a promuovere, piuttosto che frenare, le tendenze inflazioniste delle banche commerciali a riserva frazionaria. Invece, il gold standard, e con esso la libertà monetaria, viene incriminato come causa primaria della più grande catastrofe della storia economica.
Date queste premesse, è facile capire come e perché le idee di Keynes abbiano avuto tanto successo e siano state acclamate da un establishment che guarda caso assumeva caratteri sempre più totalitari. Nella Germania nazista, nell'Italia fascista, in Gran Bretagna, in Giappone e negli Stati Uniti, ci fu un cambiamento d'opinione: dal libero mercato a favore della programmazione economica statale. Keynes non ha inventato nulla; ha semplicemente battezzato ciò che i politici e i banchieri centrali stavano già facendo.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la spesa pubblica americana si ridusse del 75% ed i controlli su beni e prezzi si ridussero. Seppur il gold standard stesse progressivamente morendo, in quegli anni gli Stati Uniti conobbero il celebre boom economico degli anni ’50, nonostante i keynesiani ammonissero le persone circa un imminente disastro economico causato dal minor interventismo statale di quel periodo. Fu una parentesi felice.
Poi, Bretton Woods. Gli Stati Uniti, e quindi successivamente tutto il mondo, decisero di non mantenere la convertibilità in oro del dollaro che ricominciò a diventare inflazionabile oltre le relative riserve auree. Senza l’oro che manteneva il prezzo delle diverse valute globali ad esso ancorate, gestire i diversi tassi di cambio divenne un’impresa impossibile. Così, per gestire tali cambi, fu istituito il Fondo Monetario Internazionale, ennesima istituzione finanziata dai cittadini.
Visto che nessun cittadino avrebbe potuto convertire il proprio denaro in oro, vennero meno controlli che impedissero alle banche centrali di aumentare l’offerta di moneta oltre le riserve. E allora, di nuovo, aumentarono welfare, spese militari e consensi politici derivanti dalle banconote fresche di stampa. A quel punto Nixon, nel 1971, annunciò ufficialmente la fine della convertibilità dell’oro, dando il via ad una serie di politiche sconsiderate che osserviamo ancora oggi e di cui sentiamo certamente gli effetti.
Dopo tutto, quando il denaro è controllato da chi non è il suo legittimo proprietario, si crea l’incentivo ad eroderne il valore ed usarlo come strumento per fini politici. Ciò sottrae ricchezza a chi la produce e la trasferisce a coloro che non producono o che si specializzano nell’attività di controllo del denaro, senza di fatto produrre nulla di valore per la società. Keynesismo puro.
Quando il denaro viene stampato senza un sottostante, è un credito. Ed ecco spiegato perché viviamo in una società in cui i risparmi sono destinati ad erodersi sempre di più ed i debiti degli Stati, e non solo, sono in continuo aumento. Ma gli economisti seguaci di Keynes continuano a dire che è il risparmio che provoca recessioni.
Sì, un abbassamento dei consumi può aumentare i livelli di disoccupazione che a sua volta causa una minor produzione. Ma questo perché viene considerato consumo solo quello relativo ai beni finali e non di quelli intermedi, destinati ad una produzione futura. Keynes non capì mai, o non volle capire, che l’abbassamento dei livelli dei consumi fosse causato proprio dall’effetto nel medio e lungo termine dell’ampliamento dell’offerta di moneta, che causa un continuo deperimento del potere di acquisto.
Opposto al sistema keynesiano che porta ad un sistema di denaro fiat (di Stato) è un nuovo sistema basato sull’offerta fissa di moneta. In un tale sistema, una crescita economica si tradurrebbe di un abbassamento dei prezzi, permettendo alle persone di poter acquistare sempre di più. Come temono i keynesiani, questo comporterebbe una riduzione del consumo nel breve periodo, ma incentiva risparmi ed investimenti per un futuro in cui potranno esserci più consumi.
Purtroppo, il denaro fiat e le prospettive di Keynes ci hanno addestrato a guardare solo il breve periodo ed il denaro fiat ha consentito in questo modo agli Stati di guadagnare popolarità perché, con questo tipo di denaro, possono abilmente fingere di poter spendere illimitatamente e comprare voti attraverso, ad esempio, le politiche di welfare cofinanziate da chi produce valore reale. Così, i cittadini si trovano ad essere sempre più dipendenti dallo Stato, spesso in attesa di una sua grazia. Questo accade fino a che la corda non si spezza e fino a quando non arriva il lungo periodo, come sfacciatamente ammesso da Keynes stesso. Oggi, il lungo periodo è arrivato.
Qualcuno avrà un’onesta obiezione: se l’ultimo secolo è stato caratterizzato da drammi economici così evidenti, come mai, nello stesso periodo, abbiamo assistito ad una corposa evoluzione tecnologica e scientifica?
Ho intenzione di approfondire questo tema attraverso un articolo nel prossimo futuro.
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