Una società senza passioni
Dipendere dallo stato alimenta una mentalità passiva nei confronti di tutte quelle cose che più possono interessare il benessere socio-culturale delle persone.
Scoprire una passione significa, nella grande maggioranza dei casi, aprire una porta nella nostra vita che poi non siamo più in grado di chiudere. E non vogliamo farlo. Spesso la stanza che scopriamo, quella della nostra o delle nostre passioni, si fonde con le altre stanze della nostra mente e della nostra percezione: percepiamo ovunque, nel mondo, quella passione. E più o meno tutto ha il potenziale di fare o essere diretto riferimento a quell’ambito che ci interessa. Tutto quello che facciamo può essere fatto con il senso di gioia, lo spirito di sbalordimento e l'ambizione di portare avanti i motori del progresso, secondo le nostre vocazioni.
È la natura dell’uomo quella di ricercare, esplorare e scoprire i misteri, piccoli o grandi che siano: qualsiasi cosa è misteriosa se non la si conosce specie se, pur non conoscendola, fa vibrare le nostre cellule. È un principio ancestrale che fa parte del nostro istinto di sopravvivenza. Siamo attratti dal mistero anche perché siamo in fondo consapevoli di non sapere tutto ciò che potremmo sapere su noi stessi, il mondo e gli eventi della vita. Se vogliamo banalizzare il concetto, è una delle ragioni per cui, a volte, troviamo più eccitante un corpo semi-nudo, piuttosto che nudo. Il successo del vedo-non-vedo della lingerie è dovuto a questo.
L’espressione massima della passione è rappresentata dall’autodidattica. Questo non implica la mancanza di guide e spunti, ovviamente. Eppure spesso l’autodidatta è visto come la persona incapace di mostrare la propria conoscenza poiché non è passata attraverso il vaglio del mondo accademico e scolastico in generale. E se oggi ci guardiamo attorno e vediamo un mondo privo di passioni e di persone appassionate, e quindi appassionanti, è probabilmente in larga parte causa del mondo accademico e della scuola stessa. La scuola canonica soffoca l'apprendimento e costringe persone eterogenee ad omogeneizzarsi in una comunità forzosa che non riesce a collaborare in sintonia. Normale che sia così, laddove le cellule di un determinato gruppo di persone non vibrano insieme. Fortunatamente il fenomeno dell’homeschooling si sta sviluppando poco per volta. Passioni, autodidattica, organizzazione… tutti elementi che necessitano di una grande responsabilità. Generalmente, le persone appassionate, sono persone responsabili. Non è un caso se, come esseri umani, non siamo mai stati così irresponsabili verso noi stessi. Da cosa deriva questa mancanza di responsabilità? Pensateci, nella società moderna lo Stato tende a dirci praticamente quasi tutto quello che bisogna o non bisogna fare: noi sappiamo meglio ciò che è bene per voi, abbiamo anche pistole e distintivi, quindi se ci tenete al vostro bene farete quello che diciamo noi. La stessa deresponsabilizzazione che porta a quella mancanza del fuoco interiore, che porta al disagio, che porta all’abuso di farmaci che, a loro volta, deresponsabilizzano ulteriormente.
Due istituzioni al momento controllano le vite dei futuri adulti: la televisione/media e la scuola, in questo ordine. Entrambe riducono la saggezza, la tempra, la temperanza e la giustizia del mondo reale in un'astrazione senza fine e senza freno.
E non è neanche un caso se sempre più siamo una società atea, nel senso più vasto del termine. Niente misticità, niente magia, niente dèi, niente entusiasmo (dal greco en, dentro, e thèos, dio: sta a indicare la condizione dell’essere abitati dal proprio dio interiore). Quanto più diventiamo dipendenti dallo Stato, o da chiunque, tanto meno crediamo nell'indipendenza e tanto meno valorizziamo la nostra individualità responsabile. Ecco perché è importante trovare fonti che ci portino fuori dal nostro presente e ci introducano a diversi modi di pensare. Dopo tutto, è sempre stata la mente umana la vera fonte del progresso e della prosperità.
La crisi
La mancanza dell’entusiasmo e di passioni è una crisi del singolo, che però ben rappresenta la crisi dell’intera società. Come possiamo definire la maggior parte degli individui di oggi? Li definirei così come lo Stato sociale effettivamente li vede (e li vuole?): demoralizzati, depressi, senza futuro. A fine luglio, aveva fatto parlare il caso commovente di Giorgia Vasaperna e la sua eco-ansia. Tralasciando il discorso sulla sua professione, e quindi sull’autenticità delle sue reali emozioni individuali, il caso della ragazza ben esprime quel senso di smarrimento e demoralizzazione che si diffonde tra le persone e che, appunto, è probabilmente voluto. Infatti tale crisi consiste in un cambiamento di segno del futuro: dal futuro-promessa al futuro-minaccia. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata sul presente) quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora il terribile è già accaduto, perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l’energia vitale implode.
Pandemia (lockdown, distanza sociale e chi più ne ha più ne metta), instabilità economica e crisi valoriali hanno esacerbato questi problemi. Anche l’urbanizzazione, che implica una minore presenza di spazi verdi che aiutano ad alleviare stress e ansia, è associata ad un minor benessere interiore e anche a una crescente incidenza di disturbi mentali. Si è stimato che nella primavera 2022, in media una persona su due (il 55% del totale della popolazione adulta europea) era a rischio di depressione. Questa quota variava tra il 40% (in alcuni paesi tra cui Slovenia, Danimarca e Paesi Bassi) e il 65% (in Polonia, in Grecia e a Cipro). La quota di popolazione tra i 18 e i 29 anni che ha sperimentato i sintomi di questa patologia è raddoppiata durante la pandemia in diversi paesi europei, specialmente in Islanda, Svezia e Norvegia, dove ben un terzo dei giovani ha avuto a che fare con questo disturbo.
Non mi piace Gramellini, ma approvo questo suo passaggio:
E questo perché se è vero che la tecnoscienza progredisce nella conoscenza del reale, contemporaneamente ci getta in una forma di ignoranza molto diversa, ma forse più temibile, che è poi quella che ci rende incapaci di far fronte alla nostra infelicità e ai problemi che ci inquietano.
Ed ecco che tutti hanno iniziato a vivere la propria vita semplicemente seguendo delle regole. Non riescono più a concepire l’integrazione sociale, quella vera, l’acquisizione dell’apprendimento, l’investimento nei progetti, come qualcosa di connesso a un loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di desiderare la vita.
Solo chi vive questa crisi esistenziale, che se ne renda conto o meno, può non avere problemi con il collettivismo dilagante, tra le fonti principali di questi disagi. Ma, di nuovo, non è un loro problema, non è loro responsabilità. L'idea che le persone non siano responsabili delle loro azioni, conduce tendenzialmente ad un comportamento a sua volta meno responsabile. Diversi studi hanno suggerito che meno una persona crede nel libero arbitrio, più è probabile che menta, imbrogli, rubi, diventi aggressivo e cada vittima della conformità insensata. Meno crede di avere il controllo sulle sue azioni, peggio agirà.
Hayek parla anche di falso individualismo: comprendiamo un aspetto della vita e, da quel punto di vista, presupponiamo di comprendere tutta la vita. In tal processo riduciamo le nostre vite per adattarle ai confini della nostra comprensione e quando quest'ultima limita la nostra attenzione, c'è molto di cui essere infelici.
Stiamo pagando un prezzo psicologico perché ciò che è veramente sbagliato dentro è trattare la vita come un problema da risolvere piuttosto che un processo da vivere.
Tempo, lavoro, denaro
Se da una parte esistono persone che permettono che lo scorrere della vita le trascini in un baratro senza senso, dall’altra altre persone perdono il contatto con le passioni ed il piacere del vivere nella produttività. Non c’è paragone tra queste due diverse sfere. Ma inseguire all’infinito la produttività (il denaro) spesso porta le persone a spegnersi.
Il futuro che ci aspetta non è roseo. L’inflazione eroderà sempre di più i risparmi e il salario, o qualunque genere di compenso, reale. Tra dieci anni, lo stesso standard di vita attuale sarà molto, molto più costoso e tenere a mente questo fatto è una sana priorità che potrebbe o dovrebbe essere in grado di guidare determinate scelte. Inoltre, come esseri umani, ricerchiamo l’abbondanza: è una cosa normale, è qualcosa che ci appaga e soprattutto che ci supporta nel mantenerci liberi. Certamente non è il denaro in sé uno strumento del demonio, come talune narrative a volte vogliono far credere.
Ma questo articolo vuole essere volutamente meno pragmatico di così, quindi farò un discorso diverso, ulteriore e non sostitutivo rispetto a quanto appena detto.
Molte persone hanno un lavoro che non amano alla follia. Lo fanno per sopravvivere, con la prospettiva di godersi la vita durante la pensione, oppure durante le ferie, durante quelle due sfigatissime settimane di agosto. La logica da posto fisso, insomma. Io comprendo tale logica, perché è coerente con la concretezza della vita: mutui, figli, sicurezza e altro ancora (tranne la logica e la moralità del dipendente pubblico, quella non riesco a comprenderla). Credo anche molto nella logica del se vuoi, puoi, ma mi rendo conto che esistono circostanze nella vita in cui determinati salti sono possibili, a volte anche inevitabili, altre volte, no. Il mio punto di riflessione per le persone che si trovano in questa situazione è: ciò che è altro dal lavoro, dal denaro, volete viverlo allo stesso modo in cui vivete il vostro lavoro, magari da grigio impiegato, forse per inseguire una passione ma nelle modalità che possono permettere, ad esempio, un riscontro migliore possibile con il mercato?
Se seguo la mia passione in un determinato modo, in modo da poterci guadagnare, o in modo da poterci guadagnare il più possibile, un giorno potrò permettermi di farlo esattamente come piace a me.
Sentite che è lo stesso identico mantra che solitamente la gente si ripete quando pensa alla pensione? Magari quel momento arriverà, ma dobbiamo essere pronti a chiederci come staremo e cosa saremo, in quel momento futuro. Magari in quel momento, tra dieci anni, non avremo più quella passione. Saremo spenti, perché ci siamo privati da soli delle nostre libertà. In breve, occhio a non far diventare una passione una grigia realtà da impiegato, ammesso e non concesso che possiate o vogliate guadagnarci qualcosa, con la vostra passione. Ma a parte il discorso sulla potenziale monetizzabilità di una passione, il mio punto è che la passione in quanto tale non andrebbe rimandata.
Il punto è che la passione, oltre all’amore generale per sé stessi e per i propri cari, è il motivo per cui ci si alza al mattino (se coincide col lavoro, tanto meglio). Cerchiamo quindi di non trasformarla in qualcosa di grigio, e non lasciamo che i problemi del mondo la incupiscano, perché si tratta di uno spazio interamente nostro. Che poi, la strada della passione, quella vera, spesso è anche lastricata di successi. È da decenni che le discipline della psicologia ci spiegano questa cosa. Io sono una persona estremamente pragmatica, ma il pensa prima a farti i soldi, e poi potrai fare quello che vuoi, è uno di quei mantra da prendere con le pinze. Alla fine, anche questo è il mantra della pensione. Così come anche fai solo ciò che ami, è qualcosa da cui stare lontani. Suonerà scontato, ma l’equilibrio può fornire quella felicità che tutti cercano. È anche alla luce di questi pensieri che ho iniziato a pubblicare racconti su questa newsletter (anche se, ad essere precisi, la scrittura o la narrativa non sono passioni vere e proprie, sono dei canali comunicativi: questo per dire che comprendere davvero cosa è e cosa non è una passione, ritengo sia un ulteriore step importante).
Concentrare parte della propria vita su ciò che davvero ci interessa, presumo non sia mai una brutta scelta. In un modo o nell’altro, si tratta di una connessione con sé stessi, si tratta di consapevolezza. Non quella intellettuale, ma quella dell’anima, non meno indispensabile per sopravvivere alla guerra in corso, la guerra contro la mente degli individui. La migliore arma che ha l'essere umano è la mente. Da tre anni a questa parte è necessario averla affinata ancora di più. Chi l'ha fatto e lo fa ancora ha un vantaggio assoluto, in termini di scelte e posizionamenti, rispetto a tutti gli altri.
Ho scritto questo articolo, infatti, perché penso che la mancanza di passione sia uno dei tanti problemi che pesano su tutti, soprattutto sulla classe media. Una classe, guarda caso, morente.
Mancanza di tempo
Coltivare una passione, coltivare sé stessi, richiede tempo. Anche imparare richiede tempo. Conoscere nuove persone e nuove comunità richiede tempo. E siamo in carenza di tempo. Il tempo ci viene letteralmente rubato, basti pensare ai fenomeni inflattivi. Persino i ragazzi a scuola non hanno più tempo e non vivono esperienze. La crisi della scuola è solo un riflesso di questa grande crisi sociale. Sembra che abbiamo perso la nostra identità. Ragazzi e vecchi sono rinchiusi e segregati dal mondo degli affari ad un livello senza precedenti, nessuno parla più con loro e senza ragazzi ed anziani che si confrontano nella vita quotidiana la comunità non ha futuro o passato, solo un continuo presente. Infatti il termine comunità difficilmente si applica al modo con cui interagiamo tra di noi. Viviamo in reticolati, non in comunità e questo ci fa sentire soli e ci fa detestare la solitudine, che è invece un elemento imprescindibile per trovare il proprio Daimon.
Che cosa c’entra l’inflazione? C’entra perché il denaro è uno strumento per scambiare tempo. Le banche centrali, i padroni del denaro nell'era moderna, utilizzano questo strumento come arma per rubare tempo ed imporre disuguaglianza di ricchezza. La storia ci insegna che la corruzione dei sistemi monetari porta al decadimento morale, al collasso sociale e alla schiavitù.
Rubando una media del 7,6% delle ore di lavoro all'anno sin dal 1981, i vari burocrati sono riusciti a depredare quasi mille miliardi di ore dalle persone che lavorano sodo. Supponendo che ogni persona lavori in media 2.000 ore all'anno, ciò equivale a ridurre in schiavitù 11,7 milioni di persone per 40 anni consecutivi. Questa tassazione tramite l'inflazione si aggiunge a tutte le tasse esplicite imposte dal governo degli Stati Uniti, che sono tutte atti di socialismo. Questo aspetto è ben sviscerato da Robert Breedlove nel suo articolo Masters and Slaves of Money.
Ecco perché c’è chi vi dice pensa prima a farti i soldi, poi pensa alle tue passioni. Ciò che quella persona vi sta dicendo è che per prima cosa, dovete essere padroni e sovrani del vostro tempo, tempo che poi potrete dedicare alle passioni. Non posso dargli torto. Ma occhio: come detto prima, cercate di non rischiare neanche di essere l’impiegato grigio delle passioni.
Bel pezzo... bravo. Lascio qui, per chi volesse approfondire, la traduzione in italiano dell'articolo di Breedlove che hai citato.
https://btcita.substack.com/p/padroni-e-schiavi-del-denaro
Ho il pelo dritto. Grazie. 🧡