Verso una strategia per la libertà
Esiste un’alternativa allo Stato ed al suo dominio? Il pensiero di Murray Rothbard ne “L’etica della Libertà”.
L’etica della libertà, pubblicato nel 1982, è un saggio filosofico ed economico di Murray Rothbard, uno dei più grandi esponenti del pensiero libertario ed economista americano.
Ho voluto riportare sulla newsletter un estratto del suo pensiero circa il presupposto dell’esistenza dello Stato e l’organizzazione di un percorso verso la via della giustizia (che potremmo definire come una sorta di manuale dalla teoria alla pratica) in parte espresso nel capitolo finale Verso una strategia per la libertà, a cui l’autore arriva dopo una presentazione del giusnaturalismo e dei principi di proprietà privata, di aggressione e non aggressione.
Di seguito il testo.
Il libertarismo è una filosofia che cerca una politica. Ma che altro può dire una filosofia libertaria riguardo a una strategia, a una politica? In primo luogo deve affermare, per usare le parole di Lord Acton, che la libertà è il più alto fine politico. Supremo fine politico, naturalmente, non significa fine supremo, per l’uomo in generale. In realtà, ciascun individuo ha una gamma di fini personali, che occupano gradi d’importanza differenti nella sua personale scala di valori. […]
In effetti, un mondo libertario sarebbe un mondo in cui ciascun individuo sarebbe finalmente libero di perseguire i propri scopi, di creare la felicità, se vogliamo usare l’appropriata espressione di Jefferson.
[…] Per molti libertari il desiderio di autoespressione, di testimoniare il valore della libertà, spesso ha precedenza sull’obiettivo di far trionfare la libertà stessa nel mondo reale. Ma, come vedremo oltre, la vittoria della libertà non giungerà mai, a meno che l’obiettivo di realizzarla non prevalga su considerazioni più estetiche e passive.
Se la libertà deve essere il più alto fine politico, su quali premesse si dovrebbe basare fondare questo obiettivo? Da quanto si è affermato in quest’opera dovrebbe risultare chiaro che, innanzitutto, la libertà è un principio morale, radicato nella natura umana. Più precisamente si tratta di un principio di giustizia, dell’abolizione della violenza aggressiva negli affari degli uomini. Di conseguenza, per essere fondato e perseguito adeguatamente, l’obiettivo libertario dev’essere ricercato nello spirito di una predominante devozione alla giustizia. Ma, per conservare questa devozione lungo quella che potrebbe rivelarsi una strada difficile, il libertario dev’essere animato da una passione per la giustizia, un’emozione derivata e regolata dalla comprensione di ciò che richiede la giustizia naturale. Se si vuole raggiungere la libertà, la forza motivante dev’essere la giustizia e non la debole canna della semplice utilità.
Se la libertà dev’essere il fine politico supremo, questo comporta che la libertà dev’essere ricercata tramite i mezzi più efficaci, quei mezzi, cioè, che conducano più velocemente e completamente all’obiettivo. Ciò significa che il libertario dev’essere un abolizionista, cioè deve desiderare di raggiungere l’obiettivo della libertà il più rapidamente possibile. Se non si schiera per l’abolizionismo, ciò significa che egli non è convinto che la libertà sia il supremo fine politico. Il libertario, dunque, dovrà essere un abolizionista che, se potesse, abolirebbe istantaneamente qualsiasi violazione della libertà.
[…]
Gli anti-libertari […] replicano che un abolizionismo di tal fatta è irrealistico; essi confondono l’obiettivo desiderato con una valutazione strategica della via più probabile per raggiungerlo. In sintesi, l’obiettivo dev’essere formulato prima che entrino in gioco questioni di strategia o di realismo. Il fatto che il pulsante magico non esista e, verosimilmente, non esisterà in futuro, non ha alcuna rilevanza sulla desiderabilità dell’abolizionismo. […] Gli obiettivi libertari, compresa l’abolizione immediata delle violazioni della libertà, sono realistici, nel senso che potrebbero essere raggiunti se un numero sufficiente di persone li accettasse e nel senso che, se venissero realizzati, il sistema libertario che ne risulterebbe funzionerebbe.
L’obiettivo della libertà immediata non è irrealistico o utopico perché – a differenza di obiettivi quali l’eliminazione della povertà – la sua realizzazione dipende interamente dalla volontà umana. Se, ad esempio, tutti fossero improvvisamente e immediatamente d’accordo sull’assoluta desiderabilità della libertà, in tal caso la libertà totale verrebbe immediatamente realizzata. La valutazione strategica di come incamminarsi sul sentiero che più verosimilmente possa condurre alla libertà, naturalmente, è una questione del tutto diversa.
È per questa ragione, quindi, che possiamo affermare che William Lloyd Garrison, il grande libertario favorevole all’abolizione della schiavitù, non era irrealistico quando, negli anni Trenta del Diciannovesimo secolo, levò lo stendardo dell’emancipazione immediata degli schiavi. In effetti, il suo realismo strategico si riscontrava nel fatto che egli non si aspettava che la fine della schiavitù giungesse immediatamente o in un sol colpo. Garrison distingueva le due cose:
Per quanto ardentemente invochiamo l’abolizione immediata, essa – ahimè – alla fin fine sarà un’abolizione graduale. Non abbiamo mai detto che la schiavitù sarebbe stata rovesciata in un sol colpo; che dovrebbe esserlo, lo sosterremo sempre.
La teorizzazione del gradualismo, infatti, mina alla base il primo obiettivo che è la libertà. […] La ragione è che, non appena venga abbandonato l’abolizionismo immediato, si ammette che l’obiettivo sia ritenuto meno importante di altre considerazioni anti-libertarie, giacché queste sono poste prima della libertà. Supponiamo quindi che l’abolizionista della schiavitù avesse detto: Io sostengo l’abolizione della schiavitù, ma solo tra cinque anni. Questo avrebbe lasciato intendere che l’abolizione della schiavitù tra tre o quattro anni, ovvero, a fortiori, subito, sarebbe stata sbagliata e che, pertanto, fosse meglio che la schiavitù avesse continuato ad esistere ancora per qualche tempo. […] In effetti, in tal modo il libertario si sarebbe dichiarato a favore del prolungamento del crimine e dell’ingiustizia.
Di conseguenza una strategia per la libertà non deve comprendere alcun mezzo che mini alla radice o che sia in contraddizione con il fine, cosa che chiaramente avviene nel caso della teorizzazione del gradualismo.
Vogliamo dunque affermare che il fine giustifica i mezzi? Questa è un’accusa comune, ma del tutto sbagliata, che viene rivolta spesso a gruppi che sostengono cambiamenti della società fondamentali o radicali. […] Ben lungi dall’essere una dottrina sinistra, il fatto che il fine giustifichi i mezzi altro non è se non una verità filosofica, implicita nella stessa relazione che intercorre tra mezzi e fini.
Cosa intendono realmente dire i critici del fine giustifica i mezzi, allora, quando affermano che i mezzi cattivi condurranno a fini cattivi? Quello che sostengono in realtà è che i mezzi in questione violerebbero altri fini, che questi critici ritengono più importanti e più preziosi dell’obiettivo del gruppo che viene criticato.
[…]
Di conseguenza l’obiettivo libertario, la vittoria della libertà, giustifica la ricerca dei mezzi più rapidi verso il raggiungimento di quell’obiettivo, ma quei mezzi non possono essere tali da contraddire, e quindi minare, l’obiettivo stesso. Abbiamo già visto che la teorizzazione del gradualismo è uno di questi mezzi incompatibili. Un altro mezzo in contraddizione con il fine sarebbe il commettere un’aggressione (come l’omicidio o il furto) a danno delle persone o dei legittimi averi altrui allo scopo di realizzare l’obiettivo libertario della non aggressione.
Se dunque il libertario deve invocare l’immediata abolizione dello Stato, ritenuto il meccanismo organizzato all’origine dell’aggressione, e se la teorizzazione del gradualismo è in contraddizione con l’obiettivo primario (e quindi è inammissibile), quale ulteriore posizione strategica dovrebbe assumere il libertario, in un mondo nel quale lo Stato, fin troppo evidentemente, continua ad esistere? Esistono richieste di transizione, passi concreti verso la libertà, che dovremmo ritenere illegittimi? Certamente no, giacché in tal caso non vi sarebbe alcuna realistica possibilità di raggiungere la libertà. Sta dunque al libertario spingere la comunità politica sempre di più nella direzione dell’obiettivo scelto.
[…]
Esaminiamo, ad esempio, la richiesta di transizione avanzata da numerosi libertari, vale a dire che il bilancio statale venga ridotto del 10 per cento annuo per la durata di dieci anni, trascorsi i quali lo Stato dovrebbe scomparire. Questa proposta potrebbe avere un qualche valore euristico o strategico, purché chi la avanza renda sempre ben chiaro che si tratta di una richiesta minima, e che in effetti non vi sarebbe alcunché di sbagliato – anzi, sarebbe meglio – nel tagliare il bilancio statale del 25 per cento l’anno per quattro anni o, meglio ancora, nel ridurlo del 100 per cento immediatamente. Il pericolo nasce nel lasciar intendere, esplicitamente o meno, che una velocità superiore al 10 per cento annuo sarebbe erronea o indesiderabile.
[…]
Comprendere che lo Stato è l’eterno nemico della umanità, d’altro canto, conduce a un punto di vista strategico alquanto differente, cioè ad auspicare ed accettare con gioia qualsiasi riduzione del potere o dell’attività dello Stato, su qualsiasi fronte; qualsiasi riduzione di tal fatta, in ogni momento, rappresenta una riduzione del crimine e dell’aggressione, una riduzione della malvagità parassitaria con la quale lo Stato governa sul potere sociale e lo confisca.
Per esempio, i libertari potrebbero proporre la drastica riduzione, o l’abrogazione, della tassa sul reddito, ma non dovrebbero mai farlo se al tempo stesso proponessero di sostituirla con una tassa sul consumo o una qualsiasi altra imposta.
Analogamente, in quest’epoca di permanenti deficit di bilancio, tutti noi dobbiamo affrontare il problema: dovremmo accettare una diminuzione delle imposte se questo significasse un aumento del debito pubblico? I conservatori, muovendo dalla loro particolare prospettiva che un bilancio in pareggio sia un nobile fine, si oppongono invariabilmente a una diminuzione delle tasse non accompagnata da un taglio equivalente, o anche maggiore, delle spese statali. Ma, siccome la tassazione è un maligno atto d’aggressione, non accogliere con calore una sua diminuzione mina alla base e contraddice l’obiettivo libertario. Il momento di opporsi alle spese statali è quello della discussione del bilancio.
[…]
[Comunque,] il libertario deve impiegare la propria intelligenza strategica e le proprie conoscenze sui problemi del momento per stabilire quali debbano essere le priorità politiche.
[…]
Il mondo, almeno nel lungo periodo, è governato dalle idee: il libertarismo potrà trionfare soltanto se quest’ideale verrà diffuso e adottato da un significativo numero di persone. […] Affinché l’idea di libertà trionfi, dunque, deve esistere un gruppo di libertari impegnati, persone con una solida cultura libertaria disposte a diffondere il messaggio. In sintesi, deve esistere un movimento libertario attivo e consapevole. Questo potrà sembrare lapalissiano, ma si è riscontrata una curiosa riluttanza, da parte di molti libertari, a considerarsi parte di un movimento consapevole e in via di sviluppo, o a impegnarsi nell’attività di un movimento. E tuttavia pensate a questo: si è mai dato il caso che una qualsiasi disciplina o insieme di idee, che sia il buddismo o la fisica moderna, sia stata in grado di imporsi e di essere accettata senza che vi fossero dei quadri attivi di buddisti o fisici? La menzione dei fisici evidenzia un altro requisito per un movimento di successo: l’esistenza di professionisti, di persone che svolgano tutta la loro carriera nel movimento o nella disciplina in questione. Nel Diciassettesimo e Diciottesimo secolo, quando la fisica moderna nacque come nuova scienza, esistevano società scientifiche i cui membri erano principalmente dilettanti interessati, potremmo definirli “Amici della Fisica”, che contribuirono a costituire un’atmosfera di incoraggiamento e di sostegno alla nuova disciplina. Ma è certo che la fisica non avrebbe potuto progredire se non vi fossero stati fisici professionisti, persone che avevano scelto lo studio della fisica come attività a tempo pieno e che pertanto potevano dedicare tutte le loro energie allo studio e al progresso della disciplina. […] È auspicabile che questa avanguardia contribuisca a formare una maggioranza o una minoranza robusta e influente di persone devote all’ideologia libertaria. L’esistenza di una maggioranza libertaria tra i rivoluzionari americani e nell’Inghilterra del Diciannovesimo secolo dimostra che questa impresa non è impossibile.
[…]
I marxisti hanno giustamente compreso che, per la vittoria di qualsivoglia programma di cambiamento sociale, sono necessarie due serie di condizioni, che essi definiscono condizioni oggettive e soggettive. Le condizioni soggettive consistono nell’esistenza di un movimento cosciente in sé, dedicato al trionfo di uno specifico ideale. Le condizioni oggettive sono la reale esistenza di una situazione di crisi del sistema, crisi abbastanza grave da essere diffusamente avvertita e attribuita al sistema stesso. […] Marxisti e libertari, sia pure traendo conclusioni opposte, credono che le contraddizioni interne del sistema esistente (per i primi il capitalismo, per i secondi lo statalismo e l’interventismo statale) a lungo termine porteranno inevitabilmente al suo crollo. A differenza del conservatorismo, che non riesce ad andare più in là dello scoramento causato dal declino dei “valori occidentali” del passato, marxismo e libertarismo sono “credi” decisamente ottimistici, almeno per il futuro.
Il problema per ogni essere vivente, naturalmente, è quanto tempo si debba attendere perché il futuro diventi il presente. I marxisti, almeno del mondo occidentale, hanno dovuto venire a patti con l’indefinito rinvio dell’auspicato futuro.
I libertari hanno dovuto confrontarsi con un Ventesimo secolo che ha visto la trasformazione del sistema quasi-libertario del Diciannovesimo secolo in un sistema molto più collettivista e statalista che per molti versi si è riavvicinato al mondo distopico che esisteva prima delle rivoluzioni liberali classiche del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo. I libertari, tuttavia, hanno buone ragioni per essere ottimisti sia a breve termine, sia nel lungo periodo; in effetti, hanno buone ragioni per ritenere che la vittoria della libertà sia vicina.
[…] Fortunatamente per la causa della libertà, la scienza economica ha dimostrato che una moderna economia industriale non può sopravvivere indefinitamente nelle draconiane condizioni descritte. Una moderna economia industriale ha bisogno di una vasta rete di scambi nel mercato libero e della divisione del lavoro, rete che può prosperare soltanto nella libertà. […] La fine del Diciannovesimo secolo, ma ancora di più l’intero Ventesimo secolo, hanno visto molte forme di ritorno allo statalismo dell’età preindustriale. Queste forme (in particolare il socialismo e le varianti di “capitalismo di Stato”) a differenza del conservatorismo dell’Europa dei primi anni del Diciannovesimo secolo, francamente anti-industriale e reazionario, hanno cercato di mantenere e perfino ampliare l’economia industriale, abbattendo al tempo stesso proprio i requisiti politici (la libertà ed il mercato libero), necessari nel lungo periodo alla sua sopravvivenza.
La pianificazione, la gestione e i controlli statali, le tasse elevate e paralizzanti, l’inflazione dovuta all’emissione eccessiva di moneta devono necessariamente condurre al crollo del sistema economico statalista.
[…]
Per mezzo secolo, l’intervento statale ha potuto depredare a volontà, senza provocare crisi e disturbi evidenti perché l’industrializzazione vicina al laissez faire del Diciannovesimo secolo aveva creato un robusto ammortizzatore che ha potuto assorbire le ruberie statali. Ma oggi lo statalismo ha progredito tanto ed è rimasto al potere tanto a lungo che il cuscino di ricchezza si è totalmente consumato.
[…]
Per di più, ormai sono state provate tutte le varie forme di statalismo e si è riscontrato che tutte hanno fallito. […] Invocare il socialismo o la pianificazione statale significa ormai invocare un sistema vecchio, stanco e fallimentare.
Cos’è rimasto da sperimentare, tranne la libertà?
[…]
Il testo è stato tagliato ed adattato in più punti per fornire una valutazione complessiva e scorrevole del capitolo di Rothbard, il cui testo originale è più dettagliato e maggiormente esplicativo in determinati passaggi.