Bitcoin: la Casa Bianca ha dato i numeri
La Casa Bianca ha scelto di condividere un report il cui contenuto rivela un mirato attacco a Bitcoin ed alla Proof of Work.
Climate and Emergency Implications of Crypto-Assets in the United States, questo il titolo del nuovo report focalizzato su Bitcoin e sul mining, concepito e pubblicato da Washington. Un resoconto pretestuoso, poco originale e poco scientifico che mette la parola fine a quel velato senso di apertura che gli Stati Uniti hanno inizialmente voluto offrire al settore del mining. In particolare, mi riferisco all’apertura fornita dal Texas i cui esponenti di rilievo in materia, tra cui lo stesso senatore federale Ted Cruz, difficilmente avranno cambiato idea riguardo alle opportunità che il mining di Bitcoin rappresenta per il Paese. Forse proprio questa una delle ragioni che ha spinto la Casa Bianca stessa (il White House Office of Science and Technology Policy) a dare quello che probabilmente è solo un primo monito.
Non ci sarebbe da stupirsi, infatti, se questo documento non fosse altro che un canale formale propedeutico al conseguimento di azioni future quali un divieto del mining negli Stati Uniti a sua volta utile, comunque, a rendere Bitcoin ancora più distribuito. Oppure, persino, un divieto sulla detenzione di Bitcoin stesso. La storia ci insegna che un eventuale atto del genere è, se non altro, più che possibile. Il passato, ma in effetti anche il presente, ci permette anche di delineare la proiezione di uno scenario in cui una decisione di questa portata potrebbe non coinvolgere alcun tipo di (reale) dibattito.
Che cosa dice il Report
Il documento elenca in una quarantina di pagine i danni ambientali, economici, ma anche culturali ed etici che deriverebbero dal mining e dalla Proof of Work in generale, ed i pregi centralizzati della Proof of Stake. Il governo degli Stati Uniti ha voluto chiedersi in che modo le criptovalute influiscano sull'utilizzo dell'energia, inclusa la gestione e l'affidabilità della rete, e sugli standard di efficienza energetica e delle fonti di approvvigionamento. Ci si chiede anche quale sia l’impatto ambientale derivate dall’utilizzo di questa energia e quali siano le politiche (restrittive) da implementare per ridurne gli impatti sul clima.
Per farla breve, secondo la Casa Bianca, a seconda dell’intensità energetica della tecnologia utilizzata, le criptovalute potrebbero ostacolare sforzi più ampi per raggiungere l’obiettivo del net zero emissions di carbonio coerentemente con gli impegni e gli obiettivi climatici degli Stati Uniti. Questo perché, sempre secondo il report, il mining di Bitcoin porta via elettricità utile alle persone, causa l’emissione di troppa CO2, provoca l’inquinamento dell’acqua, l’inquinamento dell’aria, l’inquinamento acustico, è causa dell’aumento dei prezzi delle bollette, rende instabile la rete elettrica, aumenta la quantità di rifiuti elettronici, ostacola la giustizia ambientale, e dulcis in fundo, è razzista.
Il mining di criptovalute solleva problemi di giustizia ambientale perché può creare oneri sproporzionatamente negativi per la salute pubblica e l'ambiente nelle comunità di colore, comunità indigene e comunità a basso reddito. Poiché le comunità svantaggiate sono già gravate dall'inquinamento e dagli investimenti insufficienti infrastrutture, gli impatti aggiuntivi del mining di criptovalute possono creare oneri cumulativi.
La cultura dell’ipocrisia
Partiamo da quest’ultimo punto. Suscita ancora stupore l’assenza di sgomento nell’osservare l’utilizzo a fini dialettici e non solo le comunità svantaggiate e sempre più svantaggiate (no, non a causa del capitalismo) per trasmettere quello che vuole sembrare un messaggio di verità assoluta. Questo anche perché, nella mente delle masse, se un organismo dichiara che un una persona povera è oppressa, allora tale dichiarazione è quasi certamente vera. Dall’altro lato, una persona benestante o un’impresa (ricordiamo che le imprese sono fatte da esseri umani) che viene oppressa, genera reazioni emotive molto meno intense. L’individuo svantaggiato è effettivamente sempre più oppresso. È paradossale constatare, tuttavia, che tale oppressione deriva per lo più dai meccanismi di controllo, regolamentazione e ricerca di potere da parte delle stesse persone che si mostrano come paladini della giustizia divina. L’effetto Cantillon generato dalla sconsiderata stampa di moneta è solo uno degli esempi. Un altro, è la necessità di far cadere tutto il mondo in recessione economica in inevitabile risposta a tali azioni. Dinamiche che tendono ad avere un impatto molto più significativo sulle popolazioni a basso reddito.
Eppure è tutto perdonato perché da un lato si pensa che la povertà e l’indebitamento pro-capite sempre crescente sia un fenomeno misterioso come se fosse una maledizione per un peccato originale mai commesso. Dall’altro, perché se le azioni vengono fatte per il bene comune, eventuali errori di valutazione tecnica vengono facilmente perdonati. Ecco perché non ci sarà alcun vero dibattito.
La morale del sacrificio in ottenimento della giustizia sociale, che è definita arbitrariamente da chi muove le guerre, diventa infatti un caposaldo sempre più importante della strategia politica. Si tratta di un altro attacco all’uomo capitalista che devasta l’ambiente e di un mezzo per sensibilizzare individui responsabili che abbiano a cuore le generazioni future, menzionando modelli insostenibili di produzione economica e consumo (ironicamente chi sta al potere promuove un modello economico malsano basato esclusivamente sulla spesa e sul consumo) che stanno accentuando il surriscaldamento del pianeta e il degrado ambientale, portando a un aumento delle calamità naturali.
Da qui, allora, l’esigenza di cominciare ad abituarci all’idea di vivere in modo diverso, in un mondo sostenibile dal punto di vista ambientale ma non economico e quindi vicino alla povertà ed alla sottomissione. Un mondo men che meno sostenibile dal punto di vista della libertà individuale. Perché sappiamo già che qualsiasi intervento da parte della community, volto a rendere il mining più efficiente e green possibile non sarà mai sufficiente. Anche perché già adesso il mining è probabilmente il settore più green del mondo. Ma basta una leggera manipolazione dei dati, e chiunque può avere potenzialmente ragione nel giustificare qualsiasi tipo di azione.
Qualora tali misure si rivelassero inefficaci a ridurre gli impatti, l'Amministrazione dovrebbe esplorare le azioni esecutive e il Congresso potrebbe prendere in considerazione la legislazione per limitare o eliminare l'uso del consenso ad alta intensità energetica, in riferimento al mining di criptovalute.
Ed i costanti attacchi a Bitcoin, una delle massime rappresentazioni moderne della libertà individuale, sono coerenti con le limitazioni poste in riferimento alla libertà di coscienza, con la standardizzazione del modo di vivere e di pensare e con la volontà di rendere il potere sempre più centralizzato. Ormai Bitcoin non è più l’unico caso in cui la giustizia ambientale è la scusa che giustifica l’attacco alle libertà personali e di iniziativa economica. Una giustizia che, inoltre, non vuole considerarne i vantaggi di utilizzo anche nei confronti della transizione energetica stessa. E la letteratura in questo senso è ormai troppo ampia perché possa essere legittimamente non contemplata.
L'aumento della domanda di elettricità dal mining può anche far aumentare i prezzi dell'energia consumatori locali. L'estrazione di criptovalute nello Stato di New York ha aumentato le bollette di elettricità domestica di $ 82 annuali e le bollette elettriche annuali delle piccole imprese di $ 164, con perdite totali nette dei consumatori e imprese locali stimati in 179 milioni di dollari nel periodo 2016-2018.
Questi numeri non vengono assolutamente giustificati o dimostrati. Ma un aspetto interessante, c’è. Se volete, potete andare a controllare la fonte di questo passaggio (si tratta della nota numero 100 del report). Noterete che la fonte è uno studio intitolato When cryptomining comes to town: High electricity-use spillovers to the local economy di Matteo Benetton e Giovanni Compiani. Al fondo della prima pagina dello studio troverete il nome dell’ente che ha finanziato la ricerca: la Ripple’s University Blockchain Research Initiative.
Per chi non lo sapesse, Ripple è la fondazione alleata delle banche che ha da sempre proposto la sua criptovaluta, XRP, come dichiarata competitor di Bitcoin. Il suo fondatore, Chris Larsen, nonostante sia impegnato da anni in una causa giudiziaria con la SEC, ha sempre trovato il tempo e denaro per finanziare campagne disinformative contro Bitcoin, come quella guidata da Greenpeace.
Giustizia Ambientale
Risulta difficile, poi, accogliere assolutismi di verità e giustizia quando le assunzioni di base di un qualsiasi tipo di approccio critico sono, fondamentalmente, sbagliate. Ad esempio, nel report si fa riferimento a come la Proof of Work richieda sempre più potere computazionale visto che probabilmente ci saranno sempre più attori coinvolti nel validare le transazioni. Chiaramente la Proof of Work è un meccanismo energivoro ed efficace nel mettere in sicurezza la rete e nell’emettere i nuovi Bitcoin, ma le transazioni sono validate dai full node e non dai miner.
Inoltre, i miner sono economicamente incentivati a rendere la loro attività più efficiente possibile. Ovvero, sono incentivati a sprecare meno energia possibile (maggiore potere computazionale non implica necessariamente costi energetici più elevati). Questo grafico, infatti, mostra che l’equivalenza che mette insieme hashrate e utilizzo di energia, così come è proposta dagli autori del report, non ha senso di esistere. Questo è tanto meno vero prendendo in considerazione il prezzo in dollari di Bitcoin. Una maggiore adozione di Bitcoin, infatti, potrebbe comportarne un aumento di valore relativo, ma anche questo non implica un aumento dei costi energetici.
Ma politici al potere, burocrati e tecnocrati questo non riescono a capirlo e, a proposito di incentivi, probabilmente non hanno la sufficiente motivazione economica e di potere utile a comprenderlo. Perché significherebbe ammettere che le leggi naturali del mercato funzionano. Ad esempio, più il prezzo di Bitcoin aumenta, più la domanda di ASICs aumenterà. Questo permetterà ai produttori di creare macchine ASIC sempre più efficienti che verranno adottate dai miner che reinvestono il loro capitale, a sua volta soggetto ad apprezzamento. Col tempo, gli ASIC meno efficienti saranno considerati obsoleti e questo permetterà a tutto il network di essere ancora più efficiente in termini energetici.
Ad ogni modo, il governo degli Stati Uniti richiede uno sforzo comune per perseguire la fantomatica giustizia ambientale. Chiede quindi alle associazioni del settore, comprese le società di mining e i produttori di macchinari, di segnalare pubblicamente le loro attività e posizioni di mining, il consumo annuale di elettricità, emissioni di gas a effetto serra utilizzando i protocolli esistenti.
L'Agenzia per la protezione dell'ambiente (EPA), il Dipartimento di Energia (DOE) e altre agenzie federali dovrebbero fornire assistenza tecnica e avviare un processo di collaborazione con stati, comunità, il settore del mining e altri per sviluppare standard di prestazione ambientale efficaci e basati su prove concrete per la progettazione, sviluppo e utilizzo responsabile delle criptovalute. Questi dovrebbero includere standard per intensità di energia molto bassi, basso utilizzo di acqua, bassa generazione di rumore, utilizzo di energia pulita da parte degli operatori e standard che rafforzino nel tempo una bassa generazione di emissioni di carbonio.
Non risulta bizzarro che, con tutti gli sprechi energetici, le istituzioni si accaniscano così tanto sulla produzione di un asset che in termini relativi consuma molto poco e che è alimentato soprattutto da energia green?
A parte l’ormai ovvia inconsapevolezza che il mercato, da solo, troverà i mezzi più efficienti e sostenibili per lo svolgimento di qualsiasi attività economica, alcuni passaggi sembrano quasi possibilisti e collaborativi. Ma si tratta, probabilmente, di un inganno. Perché le istituzioni sanno già perfettamente in quale direzione vorrebbero andare:
L'alternativa più popolare al meccanismo di consenso PoW ad alta intensità energetica è la PoS, che è utilizzata per reti come Solana, Cardano, la proposta di Ethereum 2.0 e altre.
E questo è supportato da una serie di informazioni molto confusionarie riguardo al funzionamento della Proof of Stake, sui cui ho scelto di non concentrarmi, per ora.
Da settembre 2019 ad agosto 2021, una media del 30% dell'elettricità utilizzata da Bitcoin proveniva da fonti idroelettriche, solari, eoliche e altre fonti rinnovabili.
Ad agosto 2022, le stime pubblicate sull'utilizzo totale globale di elettricità per le criptovalute sono comprese tra 120 e 240 miliardi di kilowattora all'anno, un intervallo che supera il consumo totale annuo di elettricità di molti singoli paesi, come l'Argentina o l'Australia. Ciò equivale dallo 0,4% allo 0,9% del consumo globale annuo di elettricità, ed è paragonabile all'utilizzo annuale di elettricità di tutti i data centers convenzionali nel mondo.
Questi dati sono presentati in modo estremamente fuorviante. Il report, infatti, quando costretto a fornire i dati, si concentra sulla quantità di elettricità utilizzata. Ma il problema non erano le emissioni di CO2?
Il report sembra quasi voler far intuire che il consumo di elettricità sia un male a prescindere e che tale consumo sia eccessivo ed inquinante. Ma non è così. Infatti, le emissioni di CO2 derivanti dal mining di Bitcoin sono pari allo 0,086% sulla produzione di CO2 globale, secondo i dati del Bitcoin Mining Council aggiornati a Luglio 2022.
E in riferimento all’elettricità, la percentuale corretta di utilizzo di Bitcoin rispetto al consumo globale non è 0,9% e neanche 0,4%, ma 0,1%.
Inoltre, ammesso che sia vero che da settembre 2019 ad agosto 2021 l’elettricità utilizzata dal mining proveniente da fonti energetiche rinnovabili fosse mediamente intorno al 30%, il report evita accuratamente di menzionare il fatto che questa percentuale è salita al 59,5% nell’estate del 2022. E già ad inizio dell’anno questa quota era superiore al 58%. Nessun settore, e neanche nessuno Stato al mondo, può vantare questi livelli di energy mix.
Allo stesso modo, non viene assolutamente fatta parola su come il mining di Bitcoin da una parte, favorisca la transizione ecologica e, dall’altra, possa essere uno strumento di efficientamento della rete elettrica. Piuttosto, viene affermato il contrario.
Minando Bitcoin, si annullerebbe (o verrebbe molto meno) il problema delle rinnovabili non programmabili legato allo spreco del surplus energetico. Nulla cambierebbe dal punto di vista del quantitativo di surplus. Ma se una fonte di produzione di energia green, ad esempio, venisse integrata con il mining, il surpuls energetico generato verrebbe monetizzato. Ci sono centrali che già hanno adottato questa logica. In questo senso, il mining diventa un vero e proprio incentivo economico alla transizione ecologica. Questo è ancora più vero in quei luoghi che abbondano di fonti energetiche rinnovabili e dove, quindi, il rinnovabile costa meno. In questi luoghi, i miner saranno i primi ad essere incentivati ad adottare tecnologie che sappiano sfruttare al meglio le risorse disponibili.
Inoltre, le attività di mining possono essere spostate con una discreta facilità. Così come possono essere temporaneamente sganciate dalla rete elettrica. Questa flessibilità e modularità potrebbe permettere di reindirizzare l’energia, andando a rendere la distribuzione di energia più efficiente e inclusiva. Questo include anche la possibilità di trasformare l’energia rinnovabile in valore trasferibile senza intermediazione in aree che a loro volta possono riutilizzare quel valore per produrre energia.
Sistemi di pagamento
Verso la fine del report, gli autori hanno l’ardire di paragonare l’efficienza energetica di Bitcoin con quella dei sistemi di pagamento tradizionale.
Anche se i che i confronti diretti sono complicati, Visa, MasterCard e American Express combinati hanno riportato circa 0,5 miliardi di kWh di consumo di elettricità nel 2020, comprensivo di tutte le operazioni, oltre ai pagamenti elettronici. In altre parole, queste tre entità hanno consumato meno dell'1% dell'elettricità che Bitcoin ed Ethereum hanno utilizzato quello stesso anno, nonostante l'elaborazione molte volte il numero di transazioni on-chain e supportare le loro più ampie operazioni aziendali.
Anche in questo caso i dati condivisi non rispecchiano la realtà.
In questo articolo, avevo riportato la sintesi di uno studio recente da parte dell’ingegnere informatico ed esperto di tecnologie di pagamento, Michael Khazzaka. Riprendiamone qualche passaggio. Il paper è intitolato Bitcoin: Cryptopayments Energy Efficiency.
L’autore analizza il consumo dei datacenter di Visa collegati da un network di comunicazione privato che impiega una lunghezza di cavi che supera la lunghezza della circonferenza terrestre di 400 volte. Il consumo che ne deriva è pari a 17,72 TWh, da cui si estrapola un consumo per singola transazione pari a 11,49 Wh. Invece, la ricezione dei pagamenti, e quindi la tecnologia relativa ai POS, consuma 54 TWh. Il dato complessivo di consumo è quindi pari 71,71 TWh all’anno e le transazioni complessive consumano 46,51 Wh all’anno.
Quindi è da notare che Visa, in realtà, e anzi il solo mantenimento dei suoi datacenter, comporta un consumo energetico pari a più del 7% di quanto consuma Bitcoin, e non meno dell’1% (combinato con MasterCard e American Express). In totale invece, Visa da sola, consuma il 30% rispetto al consumo energetico di Bitcoin. Questo senza considerare che Visa servirebbe a poco senza le connessioni interbancarie che consumano 21,3 TWh ed i loro data centers 31,6 TWh. Da meno dell’1%, siamo già saliti al 52%. E se aggiungiamo il costo energetico delle transazioni complessive allora arriviamo al 72%. Questo sempre evitando di considerare i consumi specifici di American Express e Mastercard.
Infine, lo studio di Khazzaka si concentra su Bitcoin. Il paper dimostra che Bitcoin come sistema globale di pagamento consuma 56 volte meno del sistema finanziario e monetario attuale. La singola transazione on-chain di Bitcoin risulta essere quindi 1,2 volte più efficiente energeticamente di una transazione in valuta tradizionale. Se a questi dati si aggiunge la scalabilità di Lightining Newtork, la tecnologia risulta essere 194 milioni di volte più efficiente in termini energetici rispetto ad un pagamento tradizionale ed 1 milione di volte più efficiente di un bonifico istantaneo.
FYI, Bitcoin doesn’t care.