La democrazia sopravvalutata
Una serie di riflessioni contro tendenza sulla democrazia da parte di pensatori, filosofi ed economisti che hanno sognato la libertà.
La Storia non deve essere interpretata come lo svolgersi del conflitto tra libertà democratica e schiavitù dal momento che la stessa democrazia, soprattutto quella attuale, ha vene totalitaristiche. Per questa ragione ho voluto raccogliere diversi spunti in grado di fornire una visione diversa della democrazia. Le note di Diana Thermes nel suo saggio su Ayn Rand e Il Fascismo Eterno, di cui propongo un estratto, mi vengono in aiuto in questo lavoro.
Parto da Jacob Talmon che in Le origini della democrazia totalitaria, commenta questa forma di governo come affetta dal paradosso della libertà secondo il quale la libertà umana è compatibile con un unico modello di esistenza sociale, concepito come immanente alla ragione e alla volontà dell’uomo, da realizzare con urgenza immediata attraverso una politica totalizzante.
Perché una visione totalitaristica della democrazia? Semplicemente, perché si basa su una maggioranza che ha il potere di fare qualunque cosa desideri, anche negare i diritti individuali. Questa onnipotenza della maggioranza diventa allora la bestia nera del liberalismo. Una onnipotenza che Tocqueville descriveva come in sé cattiva e pericolosa il cui esercizio è al di sopra delle forze dell’uomo e l’economista Bastiat come la grande finzione dello stato, in cui ognuno tenta di vivere a spese di tutti gli altri. Va certamente calcolato anche il peso dell’astensionismo elettorale, fenomeno in aumento in tutte le democrazie, che può convertire la maggioranza in una minoranza che, una volta al potere, sarà altrettanto onnipotente della maggioranza. In aggiunta, tutti i tentativi esperiti dalla tradizione liberale per limitare le dimensioni dello Stato sono sempre falliti come indicano inequivocabilmente i trend statistici del Novecento.
La ricerca del consenso elettorale, poi, ha sempre più moltiplicato i privilegi assegnati alle varie corporazioni, categorie o gruppi di interesse. Come dimostrato dalla Scuola della Scelta pubblica, il sostegno reciproco fra lobby parlamentari per l’approvazione di provvedimenti ad hoc, dilata la spesa pubblica e la tassazione. Si verifica una gigantesca e continua redistribuzione del reddito, non necessariamente dai benestanti agli indigenti, ma anche all’interno di queste due categorie, e paradossalmente anche dai soggetti a reddito più basso verso quelli a reddito più alto, con effetti di disincentivo al lavoro e alla produzione.
La partecipazione al voto non è la prova che i cittadini esprimono consenso nei confronti dello Stato, perché, come ha fatto notare Spooner, una volta introdotto il sistema decisionale maggioritario, il voto diventa una forma di autodifesa che il singolo predispone contro esiti ancora peggiori per le proprie libertà e proprietà.
Quindi lungi dall’essere una forma di libertà, col negare i diritti individuali la democrazia altro non è che una forma di collettivismo, come la definirebbe Ayn Rand, e allora una manifestazione di totalitarismo. E anche una democrazia liberale, che si vuole attenta al rispetto dei diritti individuali, è collettivista nella misura in cui accoglie il principio della giustizia sociale articolata nelle dinamiche di welfare e redistribuzione del reddito. Qui dunque il collegamento tra la democrazia ed il totalitarismo socialista.
Quello che ora ci chiedono di adorare, quello che una volta chiamavano Dio o re, è la figura nuda, contorta, senza mente dell’incompetente umano. Sono dei neo-mistici.
Egualitarismo economico
L’egualitarismo, soprattutto quello economico, sembra essere un elemento costitutivo imprescindibile della democrazia. A riprova di questa inscindibilità, Colin Crouch ha coniato nel 2000 il termine postdemocrazia, per indicare l’attuale democrazia evolutasi in un regime élitario per l’assunzione di potere da parte di oligarchie fautrici di un’ideologia neoliberale (lobby, mass media, multinazionali, ma anche tecnocrati e burocrati), nonostante conservi ancora i requisiti formali e le istituzioni della democrazia.
Anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e l’élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici.
La postdemocrazia di Crouch corrisponde alla democrazia senza democrazia di Massimo Salvadori, l’attuale liberaldemocrazia entrata in rotta di collisione con la democrazia come ideale per un eccesso di diseguaglianza creata da oligarchie finanziarie da correggere con politiche di welfare. In questo senso i mali sono le conseguenze della errata gestione delle diseguaglianze aggravate dalla crisi finanziaria del 2008 da parte dei partiti mainstream antisistema. La cura: il rinnovamento della politica mainstream grazie all’impegno quotidiano dei singoli cittadini e dei due grandi movimenti della società contemporanea oltre al populismo xenofobo, ossia il femminismo e l’ambientalismo. Quindi nel 2020 Crouch inizia a dire che la postdemocrazia deve proprio essere combattuta.
Tornando a Tocqueville, questi stigmatizza l’egualitarismo come male intrinseco della democrazia, tanto grave da capovolgerne la libertà in tirannia.
Se dunque la democrazia è egualitaria e l’uguaglianza è da intendersi come eguagliamento dei diversi, la democrazia diventa contro natura. L’uguaglianza dei liberali rimanda ad una uguaglianza davanti alla legge e dei diritti fondamentali. Ma l’uguaglianza degli altruisti riguarda l’uguaglianza degli attributi e delle virtù personali. Di conseguenza, gli altruisti egualitari, quali sono i democratici, si ripropongono di abolire l’ingiustizia della natura, cioè della realtà, e di stabilire l’uguaglianza universale nei fatti. E non potendo alterare la legge dell’identità, abrogano la legge della casualità. Quindi nell’impossibilità di ridistribuire attributi personali, ne eliminano le conseguenze ossia ricompense, benefici, conquiste, con il risultato di capovolgere la piramide sociale e porvi in cima la nuova aristocrazia del non valore. Questa ideologia non porta solo danno a chi crea più valore, ma contempla un incredibile danno sommerso, ovvero l’accrescimento della difficoltà di creare nuovo valore da parte di chi già parte con poco, che quindi difficilmente avrà una possibilità di riscatto sociale. Per quanto riguarda le conseguenze economiche, è evidente che, potendosi formare dei prezzi per i mezzi di produzione, la cattiva allocazione, gli sprechi e la sovrautilizzazione in certi casi possono anche essere circoscritti. Tuttavia in qualunque momento il reddito sottratto ai produttori può essere aumentato a discrezione. Aumentano quindi i rischi per i produttori, e di conseguenza si riduce la quota di investimenti e opportunità egualitarie.
Il dio che ha fallito
La democrazia non è riuscita nei suoi iniziali intenti, come comproverà Hans-Hermann Hoppe nel suo Democrazia: il dio che ha fallito dove passa in rassegna i fallimenti del sistema politico. Si tratta di fallimenti economici come la stagnazione o diminuzione dei salari reali nel tempo e del risparmio, costante salita dei tassi di disoccupazione; crescita della spesa pubblica e del debito pubblico; stato fallimentare dei sistemi di sicurezza sociale e incremento della tassazione. Si tratta anche di fallimenti sociali come le lotte sociali, tensioni ed ostilità raziali, etniche, morali e culturali; declino intellettuale e culturale e presenza dell’egualitarismo.
A questi vanno aggiunti i fallimenti morali e quelli politici: aumento della criminalità, crescente statalismo con conseguente rafforzamento della centralizzazione politica, dell’amministrazione pubblica e del numero di dipendenti pubblici; crescente welfarismo; alluvioni di leggi e regolamenti e la sempre più evidente illibertà intrinseca causata dalla regola della maggioranza.
Il governo pubblico si caratterizza dal suo orientamento al presente e da una disattenzione o negligenza dei valori di capitale da parte dei governanti, in una prospettiva negativa del sistema sociale che prescelga il meno difettoso in relazione alla crescita economica e sociale. E quindi, in una prospettiva positiva del sistema sociale che miri all’ottimale, ecco la proposta di un ordine naturale, una società basata sul diritto privato, o sul capitalismo puro. Chiamatelo, se volete, anarco-capitalismo. Si tratta di un sistema libero dal monopolio coercitivo della giurisdizione e della tassazione, con agenzie fornitrici di giustizia, polizia e servizi di difesa finanziate volontariamente. In definitiva, un sistema sociale libertario, facendo un richiamo a Rothbard.
Ancora una volta si porrà la scelta civiltà e schiavitù, ossia tra ordine naturale e democrazia. E ancora una volta la causa verrà imputata allo smantellamento della proprietà privata.
La libertà è la condizione in cui ogni individuo ha il controllo esclusivo sul suo corpo, sulle risorse appropriate con quel corpo, sui beni prodotti con esse e sulle risorse acquisite contrattualmente da precedenti proprietari. Tale sistema, anche solo in termini di ottimalità paretiana, garantisce il massimo benessere sociale. Ogni attore, infatti, agisce per perseguire gli obiettivi a cui attribuisce il più alto valore; cerca cioè di massimizzare la propria utilità. Qualunque intervento che interferisca sulla libera utilizzazione dei propri beni e sul volontario trasferimento dei titoli di proprietà privata riduce necessariamente il benessere collettivo.1
Non è il governo (monarchico o democratico) la fonte della civiltà umana e della pace sociale, ma la proprietà privata e la consapevolezza e la difesa dei diritti alla proprietà privata, del contrattualismo e della responsabilità individuale.
Il problema è che la proprietà privata viene attaccata da due fonti: politicamente, dalla tassazione e dalle politiche di welfare; socialmente, dall’egualitarismo, figlio dello statalismo. Concetti incompatibili con la proprietà privata.
La proprietà privata implica esclusività, diseguaglianza e differenza e comporta l’esistenza di una élite naturale volontariamente riconosciuta.
Il declino del liberalismo
L’avvento della democrazia nel 1918, alla fine della Prima guerra mondiale, ha accelerato il declino del liberalismo iniziato già nella seconda metà del XIX secolo, avviando un processo di de-civilizzazione per l’imporsi del socialismo.
Se non si opterà per la civiltà, adottando l’ordine naturale, dato il fallimento del liberalismo, a vincere sarà la socialdemocrazia globale che non è che il guscio dell’ultima forma che il socialismo ha assunto dopo il collasso dei vari socialismi reali.
La democrazia ha fallito perché l’uguaglianza non è garanzia di libertà. L’aveva già detto Tocqueville che l’uguaglianza può vivere sia in un regime di libertà che in un regime di schiavitù. Rendendo sempre meno utile e sempre più raro l’uso del libero arbitrio, indurrà i cittadini a perdere a poco a poco la facoltà di pensare, di sentire e di agire autonomamente, finché non cadranno al di sotto del livello umano.
Ed è proprio l’uguaglianza che dispone gli uomini alla nuova forma di servitù volontaria. Poiché i popoli democratici amano la libertà ma ancora di più amano l’uguaglianza, per la quale hanno una passione ardente, insaziabile ed eterna, al punto che se non possono ottenerla nella libertà, preferiscono ottenerla nella schiavitù, pur di non cadere nella disuguaglianza.
Sopporteranno la povertà, la soggezione, la barbarie, ma non l’aristocrazia.
Minoranze organizzate
Esiste davvero la democrazia, per come viene comunemente intesa, ossia il governo del popolo attraverso la maggioranza eletta? Oppure di fatto, come sosteneva Gaetano Mosca, la democrazia non è che il governo di una minoranza organizzata (la classe politica) sulla massa popolare disorganizzata, la cui democraticità consiste unicamente nella cooptazione di individui collocati ai gradi inferiori della piramide sociale ai fini del rinnovamento della classe politica esistente?
Essendo poi i rapporti economici falsati dall’intervento statale, ne derivano parassitismo, favoritismo, corruzione e avidità, tutto per amore del collettivismo. Questi è infatti un sistema chiuso in se stesso, condannato a riproporsi in forme diverse (ecco il fascismo eterno). È l’ideologia dominante nel tempo nonostante sia, paradossalmente, un’ideologia che si fonda sul nulla, dato che il popolo, il comune, il pubblico non esistono nella realtà ma sono solo finzioni intellettuali costruite e strumentalizzate a fini di dominio dei pochi sugli altri.
In questo senso anche il populismo della protesta, che comunque sempre invoca il bene comune del popolo sovrano, è rappresentazione di una massa irresponsabile mossa solo da rabbia e paura e non dalla razionalità.
Gli statalismi sono infatti tutti uguali e per lo più caratterizzati dalla forza bruta. Ovviamente è bene ricordare che nessun fenomeno si ripresenta nella stessa forma in circostanze diverse. Ma, in quanto ideologie, tendono a ripresentarsi, e lo fanno solitamente sotto spoglie più innocenti.
Piero Vernaglione - HANS-HERMANN HOPPE
Bello, bravo