La guerra delle valute (parte 2): intervista a Francesco Simoncelli
Fiat economy, CBDC, oro e Bitcoin: la partita è ancora aperta. Anche quest’anno Francesco Simoncelli ci aiuta ad analizzare ciò che accaduto e ciò che sta accadendo.
È passato un anno da quanto ho incontrato Francesco Simoncelli per la prima volta e gli ho chiesto un’intervista. Ne è uscito uno degli articoli più apprezzati del 2022: La guerra delle valute: intervista a Francesco Simoncelli.
Ebbene, ho deciso di richiamarlo per proporre, a lui e a voi, un aggiornamento rispetto a quanto condiviso l’anno scorso: un secondo episodio di un unico filone, di una saga che potremmo intitolare, appunto, la guerra delle valute.
A voi l’intervista.
L’anno scorso abbiamo aperto l’intervista parlando dei picchi di inflazione di quel momento e delle distorsioni economiche causate dall’interventismo statale e dei banchieri centrali. Nel corso del 2023 abbiamo visto un rialzo dei tassi d’interesse senza precedenti e l’inflazione si è abbassata, almeno sulla carta. A che punto siamo?
Già. Un vero miracolo economico, come lo hanno definito alcuni. Tuttavia, come diceva un primo ministro inglese del diciannovesimo secolo, posso dimostrare tutto con le statistiche, tranne la verità. E qual è la verità? La verità è che l’inflazione dei prezzi subisce degli aggiustamenti statistici, cronici diciamo, che tendono inevitabilmente a sottostimarla. Prendiamo l’esempio italiano. Abbiamo appena visto un livello inflattivo del 5,3% scendere al 1,8%. Nello stesso periodo spunta fuori, guarda caso, la Cassa Depositi e Prestiti con le sue nuove obbligazioni che devono essere finanziate con un rendimento allettante facendo in modo che tutti si fiondino su questo strumento.
Complottismo?
Ovviamente. Ad ogni modo, il problema è che le statistiche non guardano a ciò che è successo complessivamente negli ultimi tre anni. Se valutiamo un compounding dell’inflazione dal 2020 a oggi, si nota che c’è stata un’impennata cumulata dei prezzi pari al 30%. Poco cambia che il delta mensile sia apparentemente positivo, e non è detto che rimanga così, neanche considerando le statistiche ufficiali. D’ora in poi potremmo vedere un andamento inflattivo in stile stop & go: fiammate al rialzo, stabilizzazioni e diminuzioni e poi ripartenze. È infatti bene ricordare che quando l’inflazione supera il 3%, per ritornare al target del 2% ci si mette circa cinque anni. Se invece l’inflazione supera il 5%, allora il target è raggiungibile non prima di dieci anni.
Da una parte la Grande Depressione ci ricorda qualcosa. Uno scenario di bolla del debito seguito da una recessione, poi da guerre e dalle prospettive di un nuovo ordine mondiale. Dall’altra, viviamo in tempi caratterizzati da paradigmi completamente nuovi e la crisi finanziaria sta tardando ad arrivare. La caduta farà ancora più male?
Giusto di recente ho scritto un articolo intitolato L'ultimo argine prima della recessione: l'effetto ritardo, in cu sottolineavo come solitamente nelle prime fasi di rialzo dei tassi ci sia sempre un periodo cuscinetto, in cui si ha l’impressione che le cose stiano andando bene e il timore di una recessione passa in secondo piano. Ma in questa fase, ciò che non viene messo in conto è la maturazione delle scadenze, in particolare quelle delle obbligazioni sovrane. Solo alla loro scadenza si può vedere un reale effetto sulle finanze pubbliche e quindi un rimarcato effetto sull’economia. Le obbligazioni che man mano arriveranno a scadenza saranno rinnovate e inizieranno a scontare il rialzo dei tassi iniziato l’anno scorso generando poco per volta un accumulo di problemi. Il tutto partirà dunque dalla crisi dei finanziamenti. E questa porta a implicazioni importanti e ci permette di prevedere che la prossima crisi sarà diversa dalla Grande Depressione degli anni ’30. Semplicisticamente, potremmo definire quella degli anni ’30 come una depressione deflazionistica, visto che non solo il dollaro era ancorato all’oro ma c’erano anche delle forti spinte dettate dal progresso tecnologico e quindi agricolo, che a loro volta andavano ad abbassare ulteriormente i prezzi. Quindi la crisi era incentrata sul calo dei prezzi. Quella che vedremo noi, invece, sarà una crisi depressiva inflazionistica. Questo in virtù non solo del lassismo monetario, ma anche dell’ecosistema da questi creato fatto di imprese zombi che hanno parassitato il bacino di ricchezza reale. L’aumento dei prezzi segnala la presenza di domanda ed è un segnale che indica agli imprenditori dove andare ad allocare il proprio capitale. D’altra parte, più non viene assecondata la domanda organica del mercato, più i prezzi aumenteranno.
Quel lasso di tempo che funge da cuscinetto sta permettendo alle banche centrali di tentare di rimettere a posto, per quanto possibile, i conti di nazioni allo sbando?
Sì. In particolare, la Federal Reserve si è accollata l’onere di salvaguardare gli Stati Uniti dal punto di vista monetario e fiscale: se prima queste due sfere dell’economia andavano a braccetto ora non è più così, in virtù dei due diversi schieramenti presenti negli USA e della loro visione politica diametralmente opposta.
Esistono davvero fazioni opposte o questi schieramenti sono tutti allineati verso un obiettivo comune?
Diciamo che nel corso del tempo si è sviluppata una cupola mafiosa attraverso la quale direzionare l’economia verso un obiettivo comune: la risoluzione di un annoso problema, quello dei debiti pubblici. Lo Stato è un attore di mercato che non è ovviamente in grado di effettuare un calcolo economico in accordo con i segnali del mercato stesso, quindi deve creare i propri segnali di mercato. Essendo artificiali, tali segnali creano un mismatch di preferenze, dove quelle statali vengono imposte andando a creare un rumore di fondo che impedisce ai segnali sani di fluire in modo preciso. Questo crea tutti quegli errori economici che poi devono essere ripuliti. Da quando esiste la linea politica coordinata delle varie banche centrali, che includeva il grande quantitative easing, questi errori si sono accumulati con particolare veemenza.
In quel momento, la cupola mafiosa fatta dai diversi giocatori aveva lo stesso obiettivo, ovvero quello di creare un giubileo dei debiti pubblici per poi arrivare a una società che fosse più controllata a livello capillare. Non è un caso che nel corso del tempo si siano fatte avanti tesi che andavano a elogiare il sistema di credito sociale cinese oppure le valute digitali. Tutti erano in effetti d’accordo sul tenere i tassi a zero e alimentare così le spire interviste per creare un nuovo modello sociale.
Tuttavia, nel 2019 accadde qualcosa. Una di queste fazioni in gioco, che io etichetto come la cricca di Davos, composta da tutti coloro che sono in sintonia con il Reset dell’economia secondo i dettami scritti nel libro di Klaus Schwab, ha iniziato a voler non solo operare il giubileo dei debiti, ma a volerlo fare a spese degli Stati Uniti in riferimento al mercato dei capitali e a spese dei paesi asiatici in riferimento al mercato energetico. In questo modo, l’Europa avrebbe potuto raggiungere la supremazia geopolitica ed economica scalzando gli USA e la nascente egemonia cinese, usando quindi i capitali in entrata dagli Stati Uniti e l’energia a basso costo proveniente dall’Asia e Russia in particolare.
Questo piano andava direttamente contro il settore bancario statunitense perché, per esempio, una volta implementata negli USA una valuta digitale, il potere delle banche commerciali e regionali sarebbe venuto meno per essere concentrato nelle mani della Federal Reserve. Quest’ultima è infatti molto più semplice da controllare rispetto a una pletora di giocatori disseminati nei vari Paesi americani.
Nel 2019 questo piano, diciamo secondario, fu capito da JP Morgan che inizia a farsi alfiere delle altre banche commerciali e fa in modo che nel mercato statunitense dei Pronti Contro Termine non vengano più accettate le garanzie con collaterali europei. In pratica, da quel momento l’Europa non avrebbe più potuto prendere a prestito capitali dagli USA usando strumenti europei come garanzia. Dopo pochi mesi, a settembre 2019, è scoppiata la crisi dei Pronti Contro Termine. Qualcosa si stava rompendo all’interno del mercato finanziario. Ecco quindi arrivare magicamente un’epidemia globale che costringe tutte le banche centrali ad andare di nuovo verso un’unica direzione. La Federal Reserve ha dovuto perseguire questa direzione perché i debiti a livello mondiale erano denominati attraverso il LIBOR, il cui settaggio era composto da 29 banche europee e una americana, JP Morgan. Questo significava che tutto il caos economico che avveniva altrove, veniva sempre traslato negli USA e la Federal Reserve era costretta a salvare tutti quanti, specie l’Europa.
La Federal Reserve è stata al gioco fino al 2022, quando ha inaugurato ufficialmente il SOFR, un tasso d’interesse specifico con cui denominare i debiti, ma solo negli Stati Uniti, sganciandosi dai problemi altrui. Tuttavia, nelle sale di Capitol Hill, è stata perseguita una linea opposta. L’amministrazione Biden, infatti, ha iniziato una campagna di spesa senza eguali per dilapidare le finanze pubbliche americane e anche la riserva strategica di petrolio degli Stati Uniti. Tutto ciò per aiutare la cricca di Davos, che a sua volta fa riferimento all’impalcatura europea, nel piano di default generalizzato e l’istituzione di una nuova società basta sul cosiddetto finanziamento perpetuo e quindi sui perpetual bonds. Si tratta di un controllo attento della società dove gli investimenti sono direzionati centralmente attraverso gli strumenti che più piacciono all’establishment: le obbligazioni sovrane.
La Federal Reserve, ora, ha una strategia diversa.
Come in tutte le mafie, esistono dei patti ed esiste chi rompe quei patti e chi lavora in background per raggiungere altri obiettivi. La Federal Reserve ha iniziato ad andare per la sua strada. Il sistema bancario americano non vuole essere defraudato della sua clientela, prestigio e capitale. Vorrebbe anche riportare in auge un certo grado di salubrità economica. Dopo tutto, la legge dei rendimenti decrescenti esiste per tutto e tutti. Oggi è oggettivamente necessario pensare a una società diversa. Questa è una delle regioni per cui questo fronte americano sta abbracciando Bitcoin con più convinzione.
Non credo certo che arriveranno ad ancorare il dollaro all’oro, neanche BRICS lo faranno, almeno non ufficialmente. Ma un Gold o Bitcoin Standard indiretto non è da escludere. Oppure, semplicemente, non ostacoleranno più di tanto coloro che vorranno effettuare scambi attraverso Bitcoin. Un’altra cosa che credo accadrà sarà l’ancoraggio dell’oro alle cedole delle obbligazioni sovrane statunitensi: una parte delle cedole americane sarà rimborsata in oro. In questo modo la nazione potrà tornare a essere un ambiente economico con segnali di mercato chiari senza intromissioni ma, puntando anche sul rialzo dei prezzi dell’oro, si cercherà di stabilizzare il debito pubblico. L’obiettivo è sempre quello: trovare una soluzione al problema dell’enorme debito pubblico.
È vero, quando si giunge a certi gradi di potere, è difficile che si possa scegliere di cederlo volontariamente. Però se quel tipo di potere continua a erodere il bacino di ricchezza reale, allora qualcosa deve essere ceduto presto o tardi. Questo rappresenterà almeno un parziale ritorno alla sovranità individuale e monetaria.
Tra l’altro, da quando la Federal Reserve ha tirato il freno a mano e ha iniziato ad alzare i tassi il mercato degli eurodollari ha iniziato a contrarsi. Questo ha fatto sì che il dollaro diventasse più prezioso.
Tuttavia ci sono nazioni che si stanno de-dollarizzando.
Tutto questo ha scatenato la percezione che gli altri Paesi si stiano de-dollarizzando. In realtà queste nazioni, che hanno accumulato riserve in passato proprio attraverso il mercato degli eurodollari, stanno vendendo le loro obbligazioni denominate in dollari per puntellare le loro economiche e affinché le proprie divise non calino eccessivamente rispetto al dollaro. A tal proposito consiglio un romanzo italiano intitolato Supernotes, che spiega in modo semplice come funziona questo tipo di mercato.
Ad ogni modo, tutto questo non vuol dire che gli Stati Uniti navighino in acque serene. Se questa guerra fosse una gara tra automobili, allora vincerà l’auto che arriva per ultima. Al momento, l’Europa è in pole position, anche se il Giappone ce la sta mettendo tutta per recuperare il distacco.
In questo scenario, metalli ed energia hanno e avranno il loro ruolo. Checché se ne dica, è l’energia quell’asset che permette a una società di prosperare. Basti pensare a quello che hanno significato i combustibili fossili per la rivoluzione industriale e quello che rappresentano ancora adesso, con buona pace dell’ideologia green. Non è un caso ciò che è stato scatenato nel 2022 con la guerra tra Russia e Ucraina che, come sappiamo, è in realtà una guerra tra la Russia e una delle fazioni di cui abbiamo parlato.
Torniamo a Bitcoin. C’è chi vede la nuova narrativa istituzionale favorevole a Bitcoin come un attacco ai suoi fondamentali, vista la centralizzazione dell’hashrate, l’appoggio di istituzioni come BlackRock e la Federal Reserve stessa, che però continua il suo progetto FedNow.
Secondo me non è così. Se Bitcoin dovesse venire centralizzato in qualche modo, sarà sempre possibile crearne un altro. Se si spendono risorse per fare un attacco, quell’attacco può essere vanificato grazie alla struttura stessa di Bitcoin. Gli Stati Uniti si stanno avvicinando a questa tecnologia per trarne vantaggio, ovviamente. O meglio, per cercare di non essere spazzati via nel frattempo.
Tra il 2016 e il 2017 la maggior parte delle banche del mondo facevano a gara per vedere chi riusciva meglio nell’impresa di denigrare Bitcoin. La mia ipotesi è che stessero guadagnando tempo perché Bitcoin, diversamente da altre tecnologie sviluppate nel corso della storia, ha una curva di adozione molto più ripida. Ora invece hanno dichiarato la loro volontà di detenere un ruolo di intermediari.
BlackRock sta avendo un ruolo in questo, proponendo il suo ETF. Ma avrà un’importanza relativa. Ci sono notizie ben più interessanti in giro. Ad esempio, in diverse città nel mondo, si vuole integrare nell’architettura tecnologica delle smart cities, la possibilità di transare in Bitcoin. Queste notizie danno la reale idea di come Bitcoin è percepito.
Per quanto riguarda l’hashrate e la vulnerabilità del mining, io sono poco preoccupato. Dopo tutto, nulla vieterà, un giorno, di passare dal cyberspazio allo… spazio vero e proprio.
Faccio l’avvocato del diavolo. Non è strano che proprio in progetti distopici come le smart cities si vada a promuovere una tecnologia come Bitcoin, basata su una blockchain trasparente?
È come temere l’automazione in generale. Si sente spesso parlare della paura che l’innovazione tecnologia possa costituire un limite all’indipendenza dei lavoratori, spazzando via il loro reddito. Io penso che questo dipenda da come scegliamo di vedere queste innovazioni. Qualsiasi cosa può essere utilizzata per il bene o per il male. Lo strumento è sempre neutro. Il campo in cui bisogna porre l’accento non è tanto l’ostacolo che costituisce una smart city, ma piuttosto il campo delle idee. Anche in questo, Bitcoin gioca la sua parte.
Quello di oggi è un periodo importante e unico. Sotto certi aspetti, nonostante tutto, è molto bello vivere in questo periodo storico, perché è il periodo in cui possiamo assistere a incessanti cambi di narrativa. Di nuovo, Bitcoin è un esempio di questo. L’elezione di Milei in Argentina è un altro esempio. Il buon senso economico può infatti portare a un radicale ripensamento di tutte le proprie idee. In questo senso, potremmo anche cambiare la nostra percezione nei confronti delle smart cities. Possiamo avallarle non più come strumento di controllo ma come strumento di emancipazione economica e finanziaria. Comunque, non è detto che le persone adottino questo tipo di visione. In questo caso, ci sarà sempre spazio per il mercato nero, che non potrà mai essere scisso dall’azione umana.
Per quanto riguarda la trasparenza della blockchain, posso solo dire che inizialmente non si immaginava minimamente lo sviluppo di un secondo Layer. Allo stesso modo, penso ci siano innumerevoli nuove possibilità per Bitcoin che ancora non conosciamo e non immaginiamo.
In tutto questo, anticapitalismo e depressione creativa avanzano senza sosta nella società. Ma non possiamo cadere nell’oblio.
Partirei di nuovo dall’elezione di Milei in Argentina. Dopo tutti questi anni di interventismo, l’Argentina è ovviamente già fallita. Penso che quello della popolazione non sia stato un mero voto di protesta, ma un voto di principio. C’è stato un cambiamento a livello di principi morali, e di conseguenza economici, che ha permesso alle persone di fare uno switch all’interno della loro testa. Vedo in questo un ottimo spiraglio di speranza: c’è redenzione sul percorso che va verso una condizione di crisi devastante e deflagrante. Si può tornare indietro, basta il buon senso e la voglia di scrollarci di dosso quella condizione di dipendenza verso qualcosa che sta all’esterno di noi stessi. Così eviteremo di percorrere quel sentiero che Friedrich von Hayek definiva come la via della schiavitù.
Bellissima intervista. Complimenti ad entrambi. Ma sono decisamente preoccupato per il futuro di Bitcoin: sinceramente i recenti sviluppi hanno reso necessario una fase ulteriore di studio e ricerca, volta a trovare soluzioni alternative per difendersi da un suo eventuale fallimento nel proteggere la nostra libertà e ricchezza.